La testimonianza di un infermiere imolese contagiato e guarito

Imola

IMOLA. La sera che Nicola Tassone ha cominciato a stare male avevano da poco montato la tenda di pre triage davanti all’ospedale. Fino ad allora i malati arrivavano direttamente in pronto soccorso, anche i primi casi sospetti da Medicina, e lui era lì ad accoglierli. C’erano le mascherine sì, ma della malattia si sapeva poco e niente, contagi a Imola non ce ne erano. Sembra una vita fa, era il 7 marzo. Il primo caso risultato positivo nel circondario il 4 marzo era stato un uomo di Medicina, era arrivato pochi giorni prima.


Il primo isolato
«Che io sappia sono l’unico del mio reparto contagiato, per certo sono stata la prima persona in assoluto di Imola costretta all’isolamento controllato quando a Imola città non c’erano ancora casi di positività. Sono incappato nel focolaio di Medicina». Nicola di mestiere fa l’infermiere, ha 49 anni, è originario della Calabria e lavora all’Ausl di Imola, Medicina d’urgenza e cardiologia, dal 2015. È rimasto contagiato dal virus ed è dovuto rimanere a casa chiuso in camera sua da solo 17 giorni, moglie e figlio adolescente nelle altre stanze della casa. Sa che ad altri è andata anche molto peggio, lo sa bene perché alcuni li ha accompagnati proprio lui, anche fino alla fine. «Sono uscito dall’ospedale che era una cosa e sono rientrato, dopo il secondo tampone negativo il 25 marzo scorso, che era tutto cambiato, un altro mondo», racconta.
Il contagio
Aveva fatto la notte in corsia, il giorno dopo si sentiva raffreddato, ha finito il turno, fatto la doccia ed è andato a casa. «Avevo la febbre a 38, così all’improvviso, e dolori alle articolazioni ma nient’altro. Solo che sapevo di avere avuto contatti con pazienti poi risultati positivi, ho segnalato la cosa al reparto, sono passato dal triage in tenda, mi hanno fatto il tampone, le lastre. Positivo al Covid 19, obbligato alla quarantena». Quando lui si è trovato a casa non c’erano molte procedure protocollate. «Dovevo stare isolato ceto, usare un bagno solo io, non mangiare agli stessi orari degli altri, ma poi c’erano i rifiuti da portare via, la biancheria da lavare, la spesa da fare e nessuno di noi poteva uscire perché ovviamente tutti eravamo obbligati alla quarantena. Insomma tutto da imparare e ci ha aiutati l’azienda in tutto, anche con il supporto psicologico. È faticoso stare da soli completamente per 17 giorni, parlare attraverso le porte». Però sa anche di essere stato fortunato, la febbre se ne è andata dopo qualche giorno, i dolori sono proseguiti più a lungo, come l’assenza di gusto e olfatto, ma i suoi parenti non si sono ammalati, lui non ha avuto complicazioni respiratorie né bisogno dell’ospedale. «E ogni giorno ho avuto il supporto dei miei colleghi. Il mio coordinatore Matteo Brunacci e il primario Rodolfo Ferrari, nonostante stessero completamente rivoluzionando il reparto per fare fronte all’emergenza mi hanno fatto sentire la loro presenza ogni giorno». Per questo, «quando finita la quarantena il 23 ho potuto fare i due tamponi consecutivi e sono risultato negativo, sono schizzato al lavoro» dice.
Ritorno in reparto
Dal 25 è di nuovo in Medicina d’urgenza. «Lì abbiamo pazienti di ogni tipo, non solo quelli con sospetto Covid le procedure e gli spazi sono tutti cambiati, la tensione è alta perché alta deve essere l’attenzione di non sbagliare nemmeno un gesto nelle operazioni di vestizione e svestizione per passare da una stanza all’altra –spiega Tassone –. Ora in reparto ci siamo solo noi e i pazienti, nessun parente, come era all’inizio. Ho trovato tanti colleghi nuovi arrivati mentre non c’ero, e da dietro le mascherine ho imparato a capire dagli occhi quello che le persone chiedono, che siano colleghi o pazienti, anche questa è una bella novità». Un’idea su come si è contagiato se l’è fatta ma non ha certezza: «L’errore è stato a monte, legato a quei primissimi casi di Medicina, e forse è successo non mentre entravo nella stanza del paziente, ma nel parlare coi famigliari che magari ti davano un documento senza guanti o avevano toccato una sponda del letto». Ora lui e i suoi colleghi li chiamano eroi. «Certo noi viaggiamo a mille, ma lo facevamo anche prima, e siamo sempre quelli che venivano presi a male parole anche a schiaffi in corsia. Non credo molto negli striscioni, ma nei ringraziamenti sinceri delle persone sì e quelli arrivavano anche prima». Nelle ultime 24 ore in pronto soccorso sono arrivate altre 45 persone, solo 2 quelle con sospetto Covid in mezzo a tutte le altre. Un contagio in più rispetto al giorno prima, fanno 326, un nuovo decesso, un 75enne di Medicina, i morti salgono a 30. Non se ne è ancora fuori.

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