Terremoto Autorità portuale a Ravenna, un ex cuoco a demolire la nave

Ravenna

RAVENNA. Al lavoro per “demolire” la Berkan B c’era un ex cuoco, senza alcun presidio di sicurezza se non un paio di scarpe antinfortunistica e una giacca a vento con evidenti segni di bruciature. Questo ha appurato la Medicina del Lavoro il 5 marzo 2018 effettuando un sopralluogo nella banchina della pialassa Piomboni. Sarebbe un dettaglio su cui ridere, se non fosse che meno di un mese prima Autorità portuale aveva rinnovato la concessione al nuovo proprietario del relitto, titolare di un’impresa individuale specializzata nella lavorazione di metalli. Con un diploma da perito industriale, si stava occupando dello smantellamento assieme a un dipendente che fino a un paio di mesi prima aveva indossato i panni da chef.

Diciassette mesi. È il tempo trascorso dal cedimento strutturale della Berkan B, avvenuto il 4 ottobre 2017, alla data dell’affondamento, registrato lo scorso 5 marzo. Un abisso, durante il quale Autorità di Sistema Portuale avrebbe potuto (e dovuto per legge) attivarsi per evitare un epilogo prevedibile e più volte preannunciato dalla capitaneria di porto con svariati solleciti verbali e scritti: e cioè lo sversamento di liquami inquinanti nelle acque della pialassa Piomboni, la contaminazione dell’avifauna e la morte di alcune specie animali presenti a ridosso dell’area naturalistica. È un carteggio corposo quello tra l’autorità marittima e Ap a cui fa riferimento l’ordinanza firmata dal gip Janos Barlotti, che accogliendo l’istanza della Procura ha sospeso per un anno i vertici dell’Ente di via Antico Squero, a partire dal presidente Daniele Rossi, per proseguire con il segretario generale Paolo Ferrandino e il direttore tecnico Fabio Maletti. Una misura che colpisce le tre figure apicali di Ap, già indagate per abuso e omissione di atti d’ufficio, e per inquinamento ambientale (accusa che coinvolge anche il proprietario del relitto).

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