Teatri: le Albe, "mai rimasti fermi"

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Marcella Nonni condivide con Alessandro Argnani la direzione di Ravenna Teatro Centro di produzione, fondato nel 1991 dal Teatro delle Albe e dalla Compagnia Drammatico Vegetale costituiti in cooperativa. Uno “stabile corsaro”, che intreccia la programmazione del teatro di tradizione con la visionarietà di un “cantiere del nuovo”.

Come sta Ravenna Teatro in questo periodo difficile?

«Beh, come stiamo… Non ci siamo mai fermati, perché è fondamentale studiare, progettare e pensare al futuro. Abbiamo debuttato online con una produzione cinematografica al Festival internazionale del cinema di Milano: “Er”, prodotto e scritto da Marco Martinelli pensando all’arte di un’attrice cardine del teatro italiano come Ermanna Montanari. Poi, come Drammatico Vegetale, abbiamo realizzato una coproduzione con Teatro del drago, dedicata all’infanzia a partire da Dante: “Inferno paradiso”, un piccolo debutto online per bambini e famiglie. Continuiamo a tenere viva la fiamma del teatro all’interno del Rasi: il teatro Rasi è un luogo di prove, di incontri fra gli attori che provano e questo anche grazie al comune di Ravenna e al dialogo costante anche con la Regione».

Che rapporto avete con il vostro pubblico?

«Lo sentiamo vicino, anche perché lavoriamo molto per tenere aperto un dialogo con gli spettatori. Abbiamo nuovi progetti, uno dei più importanti dei quali sarà il “Paradiso”, in coproduzione con Ravenna festival e comune di Ravenna, e dobbiamo capire che tipo di realizzazione possiamo fare. Crediamo nella chiamata pubblica e, anche se ancora non sappiamo come si riuscirà a fare, rimane uno dei punti cardine del nostro lavoro. Anche con il pubblico delle stagioni manteniamo costante un rapporto, per ricordare loro che, non appena ce ne sarà la possibilità, noi riapriremo, con la possibilità di offrire spettacoli».

Come sono le relazioni con gli altri soggetti che si occupano di cultura?

«Le relazioni che continuiamo a tenere con le altre realtà sono fondamentali: cito Ravenna festival ma anche le biblioteche, i musei. È una rete che continua a dialogare, perché sono tutti attori di un nutrimento fondamentale, soprattutto in questo periodo».

Cosa vi preoccupa di più?

«La cosa preoccupante è l’impoverimento. E la paura. Nel momento in cui si riaprirà ci sarà anche un lavoro incessante di promozione, perché la gente ha paura di uscire, di riconoscersi nell’altro. Il rito del teatro è dal vivo: si possono fare molti esperimenti, che vanno benissimo, ma il teatro è un’arte dal vivo e questa è la sua forza».

Luigi De Angelis è il fondatore, con Chiara Lagani, di Fanny&Alexander, “bottega d’arte” che da quasi trent’anni lavora sul teatro di ricerca, facendo convivere letteratura e arti performative, musica e immagini, spettacolo e studio.

Come state vivendo questo periodo? «Da una parte, è vero che sono saltati tantissimi impegni: con i due premi Ubu vinti per il progetto “Se questo è Levi” e dal protagonista, Andrea Argentieri, il 2020 era veramente un momento esplosivo, ma siamo stati fermi. E anche adesso è tutto molto incerto. Però allo stesso tempo, abbiamo considerato questo tempo anche un po’ come un privilegio per potersi soffermare di più sull’approfondimento, sullo studio. Poi stiamo preparando diversi nuovi progetti».

Di cosa si tratta? «Stiamo lavorando molto con il teatro d’opera. Con Ravenna manifestazioni stiamo allestendo, per ottobre, “L’isola disabitata” di Joseph Haydn. E da qui nasce una riflessione: il teatro, in Italia, se si è degli artisti indipendenti come noi, riesce ad essere prodotto tramite un’altra via, che è l’opera. Nell’ambito operistico ci sono le possibilità di mettere in scena degli allestimenti di una qualità e di un livello che purtroppo nel teatro non riusciamo ad avere».

Quindi nel teatro d’opera ci sono più risorse?

«Assolutamente, per noi è così. Il nostro teatro è riconosciuto, ma questo non corrisponde a una capacità produttiva. In ambito teatrale è tutto più precario, il teatro di prosa probabilmente è ancora scandaloso, perché è meno inquadrabile, sfugge. E non a caso è il luogo del contagio, del contagio delle idee». E.B.

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