Sulle orme di Franco Basaglia: la cooperativa sociale Tragitti

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Era il 1991 quando, da una precedente esperienza di volontariato e associazionismo di familiari di sofferenti psichici, nacque la cooperativa sociale Tragitti. L’associazione era stata parte attiva nel processo di deistituzionalizzazione che portò alla chiusura dell’ospedale psichiatrico “Osservanza” di Imola, partecipando fino dalla prima metà degli anni ‘80 ai primi progetti riabilitativi su base volontaria all’interno di alcuni reparti. All’inizio degli anni ‘90 la scelta di diventare cooperativa sociale, prendendo in carico la gestione di alcune unità residenziali interne ed esterne all’ospedale nell’ambito del progetto “Valerio”, che articolò la dimissione di tutti gli internati.

La cooperativa oggi

A 30 anni dalla fondazione la cooperativa Tragitti, presieduta da Patrizia Turci, conta oggi 75 soci e un fatturato di quasi 3 milioni di euro, raddoppiato rispetto a un decennio fa. La sede è a Forlì. Tragitti è un ente specializzato nell’assistenza e nella riabilitazione psichiatrica e psicosociale, di cui ha seguito l’evoluzione e la ricerca, ed opera con l’obiettivo di promuovere i diritti di cittadinanza e la contrattualità sociale delle persone svantaggiate, con interventi all’interno sia delle strutture, sia della comunità più ampia. È convenzionata con le Ausl di Imola e Romagna, associazioni, e gestisce 7 comunità residenziali e 1 centro diurno, con 130 assistiti fra i 18 e i 65 anni. A Forlì ha inoltre partecipato al percorso che ha portato all’apertura delle prime unità residenziali per persone con problematiche psichiatriche provenienti dal territorio.

«Crediamo nella psichiatria di comunità – spiega la presidente -, in realtà riabilitative che si avvicinino sempre di più al concetto di casa, in cui le competenze e la professionalità dei nostri operatori aiutino a creare un clima familiare e domestico. Una quotidianità fatta, ad esempio, anche di spazi come la cucina, con i suoi profumi, i suoi odori».

Anche per questo, spiega Turci, non vi sono attività interne alle comunità. «Si tengono ovviamente colloqui e riunioni, ma tutto il resto è spostato all’esterno. La comunità deve essere una palestra che conduce fuori, attraverso percorsi di restituzione della persona al territorio fatti ad esempio di tirocinii formativi, di accompagnamento al lavoro, ma anche di viaggi ed altre esperienze».

I percorsi riabilitativi sono individualizzati, costruiti da una equipe multidisciplinare sulla base dei bisogni terapeutici e delle risorse personali di ogni singolo utente.

Gli effetti del coronavirus

La pandemia ha avuto un forte impatto sulle attività della cooperativa. «Non abbiamo interrotto i progetti terapeutici riabilitativi individuali, ma abbiamo rimodulato tutto, seppur faticosamente, con grande attenzione a una continua informazione sulle regole da rispettare. Il nostro è un lavoro di prossimità, in cui non sempre è facile mantenere il distanziamento e fare indossare ai pazienti la mascherina. Abbiamo chiesto pazienza, abbiamo riorganizzato tempi e spazi in attesa di ripartire con la vita all’esterno. Tutti gli utenti hanno aderito in maniera consapevole e propositiva alle misure di prevenzione, assumendo un buon livello di responsabilità».

La chiusura del centro diurno di Imola legata alla pandemia, in particolare, è stata una sfida da cui è nata un’interessante esperienza di costruzione comune di percorsi territoriali, che ha coinvolto la cooperativa Tragitti insieme al Centro di salute mentale, i pazienti e i loro familiari. «L’idea di fondo è stata quella di non lasciare nessuno solo, chiuso nella propria casa, di fronte a un evento nuovo, imprevisto e sconvolgente. Abbiamo contattato tutti i pazienti e la quasi totalità ha accettato di accogliere a domicilio, o nel loro territorio di vita, gli educatori, mentre un paio hanno scelto i contatti telefonici».

L’esperienza ha ribadito il valore di un atteggiamento proattivo da parte dei servizi pubblici, e della co-progettazione con il privato sociale ed il terzo settore per dare risposte modulabili e flessibili, conclude la presidente. «Mantenere alti livelli di attività domiciliare e territoriale, modulando i momenti all’interno della struttura in relazione ai singoli piani individuali, può accelerare i processi di guarigione e di benessere, e contrastare il pericolo di cronicizzazione dei percorsi. Si è dimostrata una modalità che merita di essere conservata, sottoponendola a verifiche periodiche».

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