Storia di cucina e anarchia, un film su Ivan Fantini

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È la storia di un pranzo che condensa le scelte e la vita di un uomo. Una storia per immagini, realizzata dal regista imolese Mauro Bartoli e prodotto da un altro imolese, Alessandro Costa, nata dalla fascinazione di quest’ultimo per Ivan Fantini. Un progetto che adesso vede la luce e che è già stato iscritto a molti festival di cinema indipendente. L’idea accarezzata da tempo dall’appassionato di gastronomia Alessandro Costa, accademico della cucina, fautore dell’associazione Audio di Vino, era quella di trovare il modo di raccontare la storia di questo ormai ex cuoco e oggi scrittore, anarchico, pensatore e artefice di una poetica del rifiuto in senso lato. Ivan Fantini era un cuoco osannato e sulla cresta dell’onda fino a una dozzina di anni fa. Alle sue spalle aveva già performance artistico culinarie condivise con intellettuali nazionali e oltre, quando realizzò il suo sogno con l’osteria Veglie in volo, nel Riminese, con la quale ottenne recensioni e critiche entusiastiche. Ma fu proprio quando la sua cucina inedita e sperimentale cominciò a salire in vetta che lui decise di scendere e diventare “anonimo fra gli anonimi”. È quello il titolo del suo primo libro, è da lì che gli ingredienti della sua cucina sono diventate le parole. Chiudere bottega, darci un taglio con la fama e la pletora di osannanti critici e clienti, per ritirarsi nel suo “boscost’orto” per abbracciare una vita fatta di gratuità e baratto, dove il lavoro non manca ma non si vende, al massimo si condivide o si scambia.
Il film e la vita
Il film “Cosa c’è di strano in tutto questo?” racconta questa scelta di vita radicale, dichiaratamente anticonvenzionale, senza mediazioni, attraverso la preparazione di un pranzo dal menù non scritto, preparato non facendo la spesa ma accogliendo ingredienti di recupero, scartati da qualcun altro, raccolti dai commensali, preparati barattando una bombola di gas per cuocere con succhi e confetture fatte dal cuoco stesso. Che poi è ciò che Ivan Fantini fa ogni giorno nella sua casa immersa nei boschi della Valconca. Una casa senza cancelli, dove una comunità mutevole si siede al grande tavolo nell’aia all’ombra di un ulivo, fra gatti e galline e dove si condividono pani appena sfornati fatti da lui, vini o salumi scambiati, conserve autoprodotte, chiacchiere e riflessioni sul vino, la vita degli uomini e degli animali che popolano il bosco, e anche sulla cucina volendo, ma non troppo. Quello di Fantini per la cucina è amore profondo e odio, l’amore si vede nei gesti con cui taglia, spella e impasta, l’odio è per quello che lui stesso ha visto diventare la cucina stessa nel mondo recente. «Un cuoco serio non è mai contento di quello che fa, anche quando tutti ti dicono che è buonissimo, ma non è vero e tu che lo hai fatto lo sai – ragiona Fantini quotidianamente –. Io ero entrato in un meccanismo sbagliato, volavano le stelle, si spendevano paroloni, la gastronomia era diventata pornografica invasiva, e per uno come me che cucinava in un’ottica diversa era diventato inaccettabile. So che facevo una cucina incomprensibile per quei tempi, lavoravo con contadini, casari, vignaioli, senza passare dalla distribuzione, poi quando tutto ha cominciato ad andare bene l’ho rifiutato. A 38 anni con un’osteria di soli 28 posti sempre piena, segnalata su tutte le guide faceva piacere, ma c’era da star male a dover stare sempre in tensione, perché te che cucini lo sai che non sei bello come i piatti che tiri fuori».
Anima in perenne subbuglio, mente creativa e ferocemente autocritica insieme, Fantini di quei tempi «non sente più nemmeno l’eco» come scrive nei suoi libri, e non ha rimpianti. Fa la vita che ha scelto e anzi, si rammarica di non aver ancora realizzato pienamente la sua scelta radicale: non ha rinunciato all’energia elettrica per poter convivere con la sua compagna, e non ha smesso col tabacco.

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