Storia del Pci in Emilia-Romagna in mostra a Rimini

Un centenario importante per una realtà politica che ha segnato la storia del paese: viene inaugurata a Rimini oggi (ore 17) nel Museo Comunale, la mostra “Partecipare la democrazia. Storia del Pci in Emilia-Romagna” voluta dalle Fondazioni Democratiche emiliano-romagnole e dalla rete degli Istituti Storici della Resistenza, dagli Archivi Udi e le Università della Regione. All’inaugurazione intervengono il sindaco Sadegholvaad e Mauro Roda, presidente di Fondazione Duemila. Sabato 15 gennaio, poi (ore 17) alla Cineteca è invitato a parlare delle ricerche su storia e azione politica del Pci in Emilia-Romagna Carlo De Maria, coordinatore scientifico del progetto “Partecipare la Democrazia”.

«La mostra è articolata cronologicamente – spiega De Maria – dalla fondazione nel 1921 agli anni Novanta. Percorre quindi la parabola di una formazione che dopo la lotta clandestina diventa nel dopoguerra partito di massa, e assume un peso forte sulla cultura o il welfare, visto che amministra, come in Emilia-Romagna, Comuni, Province e infine la Regione».

Questo però avviene anche in altri territori.

«Sì, ma nel nostro il Pci ha peculiarità precise: dagli anni Sessanta promuove infatti un esperimento di governo locale riformista, una sorta di socialdemocrazia basata sul governo degli enti locali che tenta di coniugare garanzia del lavoro e diritti sociali. Lo racconta la mostra ma anche il progetto “Partecipare la democrazia”, una importante ricerca storica realizzata a partire dagli archivi regionali da 12 studiosi, che sarà pubblicata in primavera. Su molti temi infatti il Partito Comunista lascia in eredità riforme e riflessioni complesse, che vanno meglio ricordate e ripensate perché siano d’aiuto anche al governo dei fenomeni di oggi».

E questo vale per cittadini e forze politiche.

«Sì: la fine del Pci ha lasciato anche da noi uno smarrimento ideale e culturale nella sinistra, per anni subalterna alle politiche dominanti del liberismo economico. Mi pare però che anche sotto la spinta dell’emergenza pandemica si stia riscoprendo l’importanza della tutela dei diritti sociali e di politiche pubbliche incisive. Quindi non penso che tutto sia perduto, a patto che la sinistra si riorganizzi trovando nuove modalità comunicative e nuove aperture».

In questo potrebbero contare i circoli, così radicati sul territorio: la mostra ne parla?

«Nella seconda parte del percorso uno dei temi è proprio quello dei luoghi e della partecipazione popolare, con immagini e documenti frutto di un lavoro di rete su un orizzonte regionale. Importante è anche però l’attivismo femminile, fondamentale da noi dove i tassi di occupazione delle donne erano più alti della media nazionale. Le donne, dopo il loro ruolo nella Resistenza, portarono all’Italia post-bellica un’esperienza molteplice, basata anche sul fatto che molte avevano ruoli attivi nel partito, nell’Udi e anche nella Cgil, il che si traduceva nella capacità di creare un’agenda comune fra lavoro, politica e diritti».

La mostra non ignora i dissidenti.

«E questo dimostra come non abbia un intento celebrativo ma critico e di ricognizione storica, capace di guardare a traiettorie diverse come quella di Valdo Magnani e Aldo Cucchi. Dispregiativamente vennero denominati “Magnacucchi” quando nel gennaio 1951 uscirono dal Pci, loro, parlamentari e protagonisti della Resistenza, criticandone l’adesione alla politica dell’Urss, e Togliatti stesso li attaccò pesantemente. La loro voce, pur minoritaria, resta però un segnale decisivo della presenza di un pensiero critico, di una volontà altra rispetto alle direttive».

Info: parteciparelademocrazia.it

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