Stefano Saviotti e la Torre di Oriolo

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Da secoli la Torre di Oriolo svetta sulle prime colline faentine, unico elemento superstite di un castello che fu edificato nell’XI secolo: oggi il magnifico edificio viene raccontato in un libro di Stefano Saviotti, intitolato appunto “La Torre di Oriolo. Storia di una rocca e del suo territorio” e stampato dalla Tipografia Valgimigli. L’autore sarà questo pomeriggio, a partire dalla 17, nella Bottega Bertaccini in corso Garibaldi a Faenza per vendere il proprio volume nell’ambito dell’iniziativa “Librai per un giorno”.

Quando Saviotti diede alle stampe la sua prima pubblicazione, anch’essa dedicata all’iconica torre, era il 1990 e in trent’anni molte cose sono cambiate in cima e intorno alla collina di Oriolo: «La torre è stata restaurata e aperta al pubblico – afferma Saviotti – e anche il paesaggio circostante è mutato: osservando il panorama dall’alto si vedono ampie distese di vigneti. Lo sviluppo rurale qui è fortemente legato alla produzione di vini».

Nel tempo sono sorti anche agriturismi e ristoranti e la zona è attualmente al centro di una rinascita all’insegna del turismo sostenibile, con eventi che specialmente in primavera ed estate raccolgono numerosi visitatori.

Ma quella che ora è un’attrazione per gli amanti della storia e della natura, in passato rappresentava un possedimento strategico specialmente dal punto di vista amministrativo e militare: «Il castello di Oriolo – racconta Saviotti – è sempre stato un tutt’uno con il suo territorio. Fin dal medioevo, quando era feudo dell’arcivescovo di Ravenna, si trovava al centro di una comunità formata dalle parrocchie di Oriolo, San Biagio e San Mamante. Nel 1371, anno del primo censimento della Romagna, qui si contavano 100 focolari, corrispondenti a circa 450 persone, il triplo rispetto ad adesso. Era dunque una terra molto abitata, fertile e particolarmente contesa».

Nonostante questo, Oriolo seppe mantenere una certa autonomia indipendentemente da chi fosse il signore del castello: proprio in merito a questo aspetto, Saviotti ha effettuato un’importante scoperta. «Il documento più antico relativo al Comune di Oriolo risaliva alla fine del ’300 – spiega lo studioso – ma nell’archivio arcivescovile di Ravenna ho trovato un documento risalente alla fine del ’200. Gli abitanti della zona chiesero all’arcivescovo l’autonomia comunale, che fu concessa».

Un altro prezioso rinvenimento riguarda il toponimo stesso di Oriolo dei Fichi, che risulta più antico di quanto si pensasse: il nome infatti appare già in un atto notarile datato a poco prima della caduta dei Manfredi. Con la fine della signoria manfreda su Faenza all’inizio del ’500 e il passaggio allo Stato della Chiesa, iniziò il periodo oscuro della rocca, che durò fino all’epoca contemporanea, contrassegnata da una graduale rifioritura grazie all’interesse della borghesia cittadina del periodo post napoleonico.

Il volume contiene anche un ricco apparato iconografico, tra cui alcune foto storiche provenienti dall’archivio della Fototeca Manfrediana e quattro disegni ad acquarello di Romolo Liverani conservati nella Pinacoteca Comunale. In copertina spicca una foto dall’alto della torre, realizzata con un drone: «È da questa prospettiva – sottolinea Saviotti – che si può ammirare la spettacolare geometria dell’edificio, un esagono con due angoli retti. Una rarità architettonica, forse l’unica torre di castello in Italia ad avere questa forma».

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