Stefano Carlini racconta la sua Beirut in guerra

Cultura

«Si scrive per molti motivi, uno di questi è quello di non perdere il filo dei ricordi e impedire che vengano troppo sbiaditi dal tempo. Ma credo che scrivere di fatti accaduti serva anche per dare un senso alle cose, riordinarle, […] e riguardarle, se possibile con uno spirito diverso perché gli occhi hanno visto molte cose e si è diventati più inclini alla riflessione».

Inizia così l’introduzione di “Come traccianti nella nebbia” (giugno 2020, Bari, Maginot edizioni, pp. 77), libro del riminese Stefano Carlini, docente alla facoltà urbinate di Scienze motorie, volto conosciutissimo nel mondo del fitness, ideatore di vari programmi dedicati al benessere, precursore di diverse discipline, con alle spalle la collaborazione con diverse riviste che trattano anche di salute e sport

Il testo è una raccolta di racconti tesi a ricostruire l’esperienza vissuta a Beirut, tra il 1983 e il 1984, durante la missione di pace voluta dal governo italiano, quando – indossando la divisa del Battaglione San Marco – l’autore prestò servizio tra le truppe anfibie italiane.

I racconti – mai così attuali –, impreziositi da immagini originali e scattate sul posto, ripercorrono le emozioni vissute da Carlini e i giovani inviati in Libano: la paura degli scontri, la vicinanza alla popolazione martoriata dalla guerra, la fatica conseguente a interminabili giornate senza sonno.

Attraverso il personalissimo e accorato sguardo dell’autore, vengono narrati fatti che riguardano da vicino la storia italiana: partendo dall’attentato alla pattuglia dei marò del San Marco nel quale perse la vita il soldato di leva Filippo Montesi – drammatico evento che il riminese non visse direttamente ma che ha deciso comunque di inserire perché cruciale nel resoconto di quel periodo – l’ex soldato ripercorre episodi intensi di quei pochi mesi in quelle terre lontane, pochi mesi capaci di creare un solco indelebile nell’anima sua e dei compagni, ritrovati poi grazie ai social e mai più abbandonati.

La narrazione, così diretta da diventare spesso rude e cruda, ci accompagna alla scoperta di quello che «se non ci sei stato, non lo puoi provare», come sottolinea Fabrizio Maltinti, congedato col grado di capitano di vascello, capo di stato maggiore della Brigata Marina San Marco: leggendo, ci pare di attraversare le strade anguste e gli affollati campi profughi, udire il rumore della battaglia e immergerci nelle notti stellate medio-orientali, percepire sulla pelle il costante stato di allerta e nel cuore il senso di responsabilità e fratellanza che accomunò quei giovani provenienti da ogni parte d’Italia e decisi a svolgere il proprio dovere.

Attraverso la riproposizione di questi aneddoti legati alla prima missione italiana in zona di guerra dalla fine della Seconda guerra mondiale, Carlini regala al lettore la possibilità di contestualizzare la storia italiana, riviverla attraverso le emozioni di chi vi partecipò attivamente per scrivere una delle pagine più intense degli anni Ottanta.

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