Stefania Tansini, "My body” in danza a Forlì

FORLì. Anche nell’anno del Covid, prosegue il progetto “Residenze per artisti nei territori” che Masque Teatro accoglie al Felix Guattari di Forlì, con ben cinque ospiti: C&C di Carlo Massari, Stefania Tansini, Simona Bertozzi/Nexus, Paola Bianchi, Leoni & Mastrangelo.
Ed è la giovane danzatrice Stefania Tansini (è nata nel 1991 a Ponte dell’Olio, in provincia di Piacenza) ad animare questa settimana la struttura di via Orto del Fuoco, quel “centro pensante”, come lo definisce il direttore artistico di Masque Lorenzo Bazzocchi, volto a promuovere un sapere trasversale che abbracci le diverse arti performative.
Dal 2018 Masque è titolare infatti di uno dei cinque progetti di “Residenze per artisti nei territori” in regione, punti di eccellenza per riguarda l’innovazione in campo artistico.
«Ed è con un progetto ancora in nuce, “My body” che siamo a Forlì – spiega Stefania Tansini –, e con un nuovo gruppo di danzatori, composto oltre a me, da Miriam Cinieri e Luca Piomponi. Grazie anche al festival “Crisalide” di cui sono stata ospite con “La grazia del terribile”, ho conosciuto Masque Teatro e le sue iniziative artistiche e filosofiche, molto vicine alla mia ricerca personale. Il loro poi è uno spazio che permette di lavorare bene, con una dimensione “giusta”, capace di dare grandi stimoli anche a livello energetico».
La residenza è all’inizio, ma forse può già raccontarci i primi riscontri.
«È tutto molto interessante ma anche… faticoso. Quando lavoro, mi espongo, mi metto in qualche modo a rischio, e allo stesso tempo sento la responsabilità verso gli altri con cui collaboro, verso lo spazio che ci ospita… e anche verso me stessa».
Bello, sentire parlare di “responsabilità”.
«Sì: è uno stato di allerta più elevato, che mi mette in condizione di essere vigile, diretta e pratica nel lavoro, immersa in una tensione positiva che in altre situazioni non sarebbe possibile. Anche nel compiere le scelte necessarie, sento una… paura salvifica, fatta di cura e di grande concentrazione».
In questa “cura” sta anche l’attenzione al corpo, che è una dominante del suo lavoro.
«E infatti in “My body” la ricerca è sul corpo come dimensione esistenziale: corpo e movimento “esistono”, e sia nel solo che in trio sono indagati sulla base della forma che assume questo vitalismo esistenziale, una ricerca chela residenza rende molto più efficace… L’intensità delle azioni permette infatti di cercare di individuare il link fra vita e arte, che hanno certo linguaggi diversi ma anche il tratto comune della loro componente umana, con la verità intima che ne emerge».
Resta spazio per la coreografia?
«Certo, il rigore, la tecnica, la forma in una parola, sono lo strumento necessario per entrare in contatto con il pubblico. Ma prima di tutto attraverso la danza si affronta il “tema” dell’uomo e della vita dell’uomo: e il lavoro sul corpo rende visibile tutto questo e rende possibile cogliere gli stimoli con una capacità percettiva superiore. Tutto parte da un ascolto della verità e della libertà che portiamo in noi, e prima ancora che una scelta artistica la ricerca si rivela come una scelta di vita. Poi, lo scavo totale ci esaurisce fisicamente e mentalmente: scardinare se stessi del resto chiede energia, ma ha senso… La mia ricerca in questo modo non è solo “mia” ma è trasferibile su altri corpi, il che è proprio uno dei temi di questa “residenza”, che si propone di innescare un senso di “altruismo” nel momento in cui io stessa condivido con gli altri la mia curiosità, e il mio rigore…».

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