Stare nel bosco fa beneStare nel bosco fa bene

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Parte nel Parco nazionale delle Foreste casentinesi, Monte Falterona e Campigna il primo studio scientifico italiano di “terapia forestale”. In pratica, vuole cercare dettagli in più per capire quanto stare all’interno di un bosco o una foresta possa incidere nella riduzione di alcuni valori clinici come quelli del cortisolo, l’ormone dello stress. L’iniziativa è della direzione del Parco e della “Grande via” l’associazione fondata dall’epidemiologo Franco Berrino e dalla giornalista Enrica Bortolazzi. Il prossimo 9 maggio inizierà il percorso di studio con il primo ritiro nel verde per qualche giorno da parte dei primi partecipanti e che durerà fino a settembre.

«L’unica cosa di cui siamo certi, e che è parte dall’esperienza già condotta in Giappone, è che bisogna essere in una foresta con alti livelli di terpeni, sostanze emesse dalle piante e dal terreno che hanno un ecosistema maturo. Entrare in un bosco di 20 anni di età dovrebbe portare effetti minimali ma entrare in un bosco maturo con più di 130 anni dovrebbe avere conseguenze positive maggiori», spiega Luca Santini, presidente del Parco patrimonio dell’umanità dell’Unesco. «Molteplici ragioni hanno portato L’associazione, da sempre consapevole dell’impatto positivo della natura sul benessere dell’individuo, ad avviare questo progetto: il territorio a vocazione naturale e spirituale, la conoscenza dello Shinrin-Yoku, la terapia naturale giapponese dell’immersione nella foresta e i contatti con il Centro di terapia forestale dell’isola di Shikoku», commenta Bartolazzi. Il progetto di ricerca avrà la supervisione e il monitoraggio di medici, guide forestali ed esperti professionisti della nutrizione, del movimento consapevole e della ricerca interiore. Per Franco Berrino, già direttore del dipartimento di Medicina preventiva e predittiva dell’Istituto tumori di Milano,«è noto che gli alberi comunicano fra loro, con i microbi e i funghi che assistono le loro radici, con gli insetti utili e dannosi, con i grandi animali che se ne nutrono; è anche noto che noi uomini possiamo dare messaggi alle piante, che se amate crescono meglio. Pare logico quindi anche ipotizzare che le piante possano inviare messaggi all’uomo». Secondo il ricercatore ciò «è quello che ha fatto la medicina giapponese da decenni, constatando che quando le persone passano alcune ore in un ambiente con una grande concentrazione di alberi (foreste, parchi) si riduce il loro stato di stress, di ansia e di depressione, documentato da una diminuzione dei livelli plasmatici o salivari del cortisolo, dalla riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, e dall’aumento della variabilità del ritmo cardiaco, un indicatore prezioso di salute; è stata inoltre riscontrata una diminuzione dello stato infiammatorio cronico».

Berrino definisce come “sufficienti” anche «brevi periodi di cammino in foresta, dell’ordine di mezz’ora-un’ora, per riscontrare effetti fisiologici, ed è logico ipotizzare che periodi più lunghi abbiano un impatto significativo sul rischio di sviluppare o dell’aggravarsi di patologie croniche. Grandi studi epidemiologici hanno coerentemente riscontrato che chi abita in aree ricche di alberi ha una mortalità significativamente ridotta rispetto a chi vive in aree più cementificate. La differenza è verosimilmente dovuta al minor inquinamento atmosferico, alla maggiore comodità di praticare esercizio fisico, ma anche alla bellezza e al silenzio, che conferiscono al sistema nervoso autonomo una maggiore capacità di gestire lo stress».

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