MotoGp, Vito Bezzecchi: «Ho pianto anche in Argentina. Alle vittorie di Marco non mi sono ancora abituato»

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Vito Bezzecchi è l’ombra di Marco nei gran premi: discreto, attento e gentile, ha accompagnato il figlio in questa cavalcata verso la vetta della MotoGp e può raccontarla in modo approfondito dentro una settimana che dalla vittoria di domenica in Argentina porta alla festa in programma sabato dalle 17.30 alle 20 sul lungomare di Viserba in mezzo alla gente di casa.

Vito Bezzecchi, suo figlio Marco a gennaio aveva promesso una vittoria senza paura della scaramanzia ed è arrivata: se l’aspettava?

«Ero sicuro che ci avrebbe messo tutto il suo impegno per raggiungerla e che prima o poi sarebbe arrivata, ma non così presto. Si è infilato tutto per il verso giusto. E’ normale un clamore simile anche se non me l’aspettavo. Dobbiamo dire grazie per tanta attenzione. Marco ha già tanta pressione addosso, il nuovo format della MotoGp rende tutto decisivo già dal venerdì, speriamo che tutto questo non si ritorca contro».

Che cosa potrebbe accadere?

«Le prossime gare andranno alcune bene, altre male: credo sia normale e gli errori succedono».

Quali sono le tappe dell’evoluzione di Marco in questi anni?

«Nel team Vr46 si è trovato benissimo, in particolare negli ultimi due anni con Matteo (il modiglianese Flamigni suo capotecnico, ndr) l’intesa è ottima. Marco arriva nel box con il sorriso, c’è un bel clima e ci si diverte. Me ne rendo conto anche io».

In un momento di gioia si ricorda quelli meno felici?

«Beh, in generale, sono quelli in cui si cade e si scopre poi con la telemetria che in una curva, che hai fatto bene per 20 giri, scivoli per due chilometri orari di velocità in più. E’ stato difficile anche il primo anno di Moto2 con il Tech 3: il patron del team Hervè Poncharal è un’ottima persona, ma con quella Ktm le cose non andavano. L’anno in Motocev nel 2016 gli è invece servito per forgiare il carattere ed essere pronto per farsi valere con una moto competitiva».

Come è nata la passione di Marco per le moto?

«Io, supertifoso di Valentino Rossi, gli ho regalato una minimoto con cui ha cominciato a girare da bambino. Nel 2007 sono iniziate le prime gare, nel 2009 le prime vittorie e da lì la speranza di poter arrivare a centrare risultati importanti ha iniziato a crescere».

Com’è essere il padre di un ragazzo che si impegna per diventare campione e che rapporto avete?

«Quella del genitore è la professione più difficile al mondo, lo sa chiunque lo sia. Per seguire Marco ho rinunciato a stare con mia moglie Daniela e le nostre figlie Silvia e Laura, ora impegnate nella gestione del Fans Club di Marco, insieme a mio nipote Emanuele e alla sua ragazza Valeria. Un po’ mi spiace di aver tolto attenzioni a loro per passare milioni di ore con Marco, ma lui vuole ancora che lo accompagni, per occuparmi dell’abbigliamento, di recuperare i dati della telemetria o di altre sue necessità e io vado. Il nostro legame è solido e anche adesso che abita da solo, sempre a Viserba, che non credo abbandonerà mai, prima di partire per le gare viene a pranzo da noi».

La prima volta che vinse in Moto3 con la Ktm nel 2018 il suo pianto fu di grande liberazione e forza: si è abituato a gestire l’emozione?

«Ci si abitua a tante cose, ma a vedere Marco vincere no: ho pianto anche domenica».

Quando è iniziato il rapporto con la Vr46 Academy?

«Marco ha conosciuto Vale all’inizio del mondiale 2015, quando fu chiamato sulla Moto3 del Team Italia per sostituire Stefano Manzi, che ad inizio stagione non aveva ancora i 16 anni necessari per correre nel Mondiale. Poi lo rivide al Mugello, dove eravamo wild card. Dopo un paio di inviti ad allenarsi al ranch, proprio a Natale di quell’anno, fu chiamato in Academy e fu un bel regalo natalizio che festeggiammo in famiglia».

Quali sono le qualità maggiore di Marco in sella?

«La caparbietà e la voglia di primeggiare».

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