Ci sono poche certezze nella vita, una di queste è che il Rimini è come l’Araba Fenice, uccello mitologico simbolo di immortalità, resilienza e speranza, che insegna a rinascere dalle ceneri: quando il Rimini è in vita è evitato da molti perché considerato il problema dei problemi, da morto diventa una preda ambita, un’opportunità. Il perché è semplice, ripartire nel calcio vuol dire farlo da categorie meno nobili e che, per questo, richiedono un impegno economico sostenibile: essere il presidente del Rimini rappresenta però la terza carica cittadina dopo quelle di sindaco e di vescovo. I problemi nascono dopo, quando si sale e si tratta di affrontare investimenti ingenti.
Ci sono già forti appetiti per il Rimini chiamato a risorgere dalle ceneri
Un lungo lutto
Il lutto a Rimini durerà ancora un po’, poi scatterà la ripartenza vera e propria, quella dell’individuazione del soggetto o del gruppo che ripartirà alla testa del nuovo Rimini. L’assessore allo sport Michele Lari ha tratteggiato un identikit piuttosto condivisibile: progetto serio e solido che ponga la salvaguardia e lo sviluppo del movimento giovanile come architrave, il tutto rilanciando i veri valori dello sport.
Ci sono anche stadio e Gaiofana
In questo momento ci sono almeno due grandi opportunità per chi insegue il Rimini, ma ci sono anche errori da evitare. Il 15 dicembre scadrà il termine entro cui Aurora Immobiliare deve presentare il progetto per il nuovo stadio. Se la società guidata da Antonio Ciuffarella non raggiungerà l’obiettivo, scatterà il Piano B dell’amministrazione comunale che vuol dire ristrutturazione dello stadio Romeo Neri, anche perché nel frattempo è stato previsto il bando per la realizzazione della nuova pista di atletica in altro sito. E senza la pressione di un campionato come la Serie C si potrà fare un buon lavoro con tutta tranquillità.
Questo significa che il nuovo Rimini verosimilmente giocherà entro 2 o 3 anni in uno stadio molto diverso dall’attuale, se non nuovo. Ma entro sei mesi deve anche essere terminato il Centro della Gaiofana ed anche qui è tutta da vedere la partita delle sinergie tra questo complesso all’avanguardia e la nuova società, che potrebbe trarre grande profitto. Questi sono gli aspetti positivi che attendono un imprenditore che voglia guidare il nuovo Rimini.
Saranno mesi “pesanti”
In realtà i prossimi mesi, se l’esperienza insegna qualcosa, saranno più tosti di quanto si possa pensare perché il primo step sarà quello di individuare il soggetto al quale l’amministrazione, dopo la manifestazione di interesse, affiderà il timone della società. La penultima volta in cui si è ripartiti fu nel dopo Bellavista: nel 2010 nacquero ben due società, l’Ac Rimini 1912 ed il Real Rimini Siti, impegnate in Serie D. Primo clamoroso caso di eccesso di entusiasmo che portò alla divisione delle (poche) risorse in campo e ad una figura non certo brillante a livello nazionale. Per la storia la benedizione dell’amministrazione comunale finì sul Rimini 1912 di Biagio Amati, ma non mancarono le polemiche.
L’altra storia di un consistente interesse cittadino sulle sorti del calcio post mortem fu in occasione del fallimento del 2016, dalle cui ceneri nacque l’attuale Rimini Football Club. Anche in quell’estate non mancarono le candidature, alla fine vinse quella più solida e ben impostata di Giorgio Grassi.
Tutto questo per dire che sul Rimini che verrà già ora ci sono forti appetiti, ma va ribadito che bisogna avere le idee chiare. Tralasciando l’ovvio, cioè che sia un progetto solido, serio e fondato sui veri valori dello sport, l’augurio è che finalmente sia un soggetto o un gruppo animato da una reale passione per la città, per il calcio e per lo sport, che non debba costruire case, ospedali o aprire ristoranti, che sia trasparente e si impegni a fare una conferenza stampa al mese, non una ogni due anni, che sia un presidente sportivo, moderno ma anche un po’ all’antica, che magari parli in dialetto quando si arrabbia e che pensi se sia utile o meno spargere sale intorno alla panchina prima del match. Che sia vero, sano e genuino. Un punto di riferimento. Che parli meno di due diligence e fideiussioni e più di pallone e di parastinchi, che sappia circondarsi di professionisti all’altezza e che riporti in questo sport un po’ di quella “sana ignoranza” che ne permea lo spirito. Un presidente di una società che abbia il calcio nel suo dna e che rispetti per una volta tutte le norme, quelle scritte e quelle non scritte. Forse è troppo difficile.
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