"Mio figlio si riconosce in fretta, è quello più bravo di tutti"

Calcio

Forse non ce ne rendiamo conto, ma nelle squadre in cui giocano i nostri figli siamo circondati da fenomeni, anche se non sempre ce ne accorgiamo. Ce ne accorgiamo quando arrivano i genitori del fenomeno, quelli che a gara in corso ti dicono: «Mio figlio si riconosce in fretta, è quello più bravo di tutti». Qui di seguito, ecco una raccolta di frasi tipiche del padre dell’aspirante fenomeno all’allenatore della squadra. Sono tutte frasi magnificamente autentiche e alla fine parlare con i tecnici delle varie discipline è diventata una specie di seduta di psicanalisi. 1. «Guarda che è mio figlio ad insistere perché io venga tutti i giorni a vederlo al campo». 2.«Non per essere di parte, ma mi sembra che mio figlio sia molto migliorato». 3. «Non sono più sicuro che questa sia la squadra giusta per mio figlio». 4. «Hai visto che questa settimana l’ho portato lo stesso all’allenamento anche se domenica è squalificato?» 5. «Cassano all’età di mio figlio non era così forte». 6. «Tranquillo, a motivare il ragazzo ho pensato io: gli do 20 euro ad ogni gol che segna». 7. «Gli ho parlato dopo l’espulsione: gli ho fatto capire che se l’arbitro è un cretino non è mica colpa sua. Ha capito e ora lo vedo più sereno». 8. «Dopo che ha fatto l’allenamento con voi, tutti i giorni lo prendo da parte e lo alleno un po’ sui fondamentali insieme al nonno». 9. «Scusa, ma sei tu che gli dici di passare la palla tutte le sante volte?» 10. «Mio figlio ha fatto un gol. Dai e dai, finalmente ha fatto anche lui qualcosa di utile». Ora, la domanda di fondo è: come è stato possibile tutto questo? Come è nato questo tipo di padre trasudante il calore umano di un bancomat, capace di sfornare 20 euro ad ogni gol del piccolo fenomeno? Tra l’altro è un premio-partita pagato senza dubbio in nero, giusto per preparare il ragazzo ai primi rudimenti della vita adulta. Cosa scorre nelle vene del nonno maestro di tecnica del terribile punto 8, un anziano divorato dal morbo del pallone che si devasta a ripassare sul campo stop di petto e appoggi di piatto col nipote? Perché il nonno non ha un hobby individuale tutto suo tipo la canasta, il burraco, le escursioni in bicicletta, il trekking in montagna? Perché non si gode una meritata pensione andando a funghi, guadagnandone in salute e in qualità dei risotti alla domenica? Perché l’hobby di tutta una famiglia deve essere soffocare di attenzione un minorenne fino a farlo diventare fenomeno? E poi cosa c’entra Cassano, ma basta: ha già mille pensieri per conto suo, perché non lo si lascia in pace almeno una volta? Chi ha giocato anche poche partite nei campionati minori, sa bene che uno spogliatoio sano si costruisce non solo con dei ragazzi in gamba dentro la squadra, ma contribuisce anche tutto il contorno. Uno spogliatoio che funziona lo fanno anche allenatore e staff tecnico, poi società, tifosi, familiari, fidanzate, amici. Basta poco per rompere l’ingranaggio e soffocare certi equilibri. Succede anche nel professionismo ai massimi livelli, ma quando situazioni del genere si verificano nelle serie maggiori di calcio, basket, pallavolo o rugby, è semplicemente un evento triste a vedersi. Quando tutto questo si vede nei settori giovanili, è qualcosa di disastroso, sia per la fragilità delle giovani vittime, sia per le scene tristi a cui si è costretti ad assistere. Squadre che implodono perché ognuno pensa per sé: succede a tutti i livelli, succede sempre più spesso. Il riscatto sociale passa dal successo del figlio, che deve vincere qui, oggi, adesso. Deve fare incetta di vittorie, di tutte le vittorie. Deve vincere le sue partite, ma non solo: deve riscattare tutte le sconfitte della sua famiglia, quella stessa famiglia che ora è in balaustra a fare il tifo, appoggiata in blocco alle sue fragili ma futuribili spalle. Si fa il tifo per un singolo mentre va in scena uno sport di squadra, concentrati a tutelare un investimento che oscilla a passo variabile in mezzo al campo. In ogni società sportiva che si rispetti viene proibito al giovane atleta contestare le decisioni del tecnico, guai ad alzare la voce di fronte all’autorità che sceglie la formazione, soprattutto in presenza dei familiari. In questi casi, anche il più talebano dei padri-ultras da campo sportivo è il primo a porre un freno in famiglia, secondo una massima storica che ama ripetere al suo ragazzo per placarne i sussulti ormonali: «Figliolo, non ti azzardare a contestare le scelte dell’allenatore. Altrimenti io che ci sto a fare?» (Tratto dal libro “Mio figlio è un fenomeno” - Edizioni Ponte Vecchio).

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