Zaro: “A Cesena sono i valori del gruppo a fare la differenza”

Probabilmente, è più semplice fare un salto fino a Vanzaghello, minuscolo puntino sulla cartina della Lombardia a due passi da Busto Arsizio, che saltare sulla testa di Giovanni Zaro, situata a quasi due metri di altezza, dove è custodita la scatola nera di un difensore di 31 anni diventato rapidamente uno dei leader del Cesena.

Zaro, lei veste il bianconero da pochi mesi, ma sembra che sia qua da tanti anni. Quanto è stato semplice inserirsi in questa squadra?

«Sì, sono d’accordo, è stato semplicissimo. Il merito più grande è del gruppo: sono stato accolto in estate da un collettivo forte e che giocava con meccanismi ben consolidati, quindi è stato facilissimo. Poi ci sono i valori umani di chi compone questo gruppo e proprio questi valori stanno facendo la differenza».

E c’è Mignani, con il quale aveva già lavorato a Modena. Come lo ha ritrovato?

«Come tutti gli allenatori, anche lui ogni anno aggiunge qualcosa al proprio bagaglio, si aggiorna e migliora. Ma i concetti di lavoro e di spogliatoio, senza dimenticare il suo comportamento, sono sempre gli stessi. Mignani è sempre lui e con lui, considerate le richieste di campo, sapevo a cosa sarei andato incontro».

Lei è l’unico giocatore di movimento della Serie B ad essere rimasto in campo per 1.080 minuti più recuperi dopo prime 12 giornate di campionato. Lo sapeva?

«L’ho letto e questo dato mi fa molto piacere. Il mio ruolo mi facilita, perché quando fai il difensore e giochi dall’inizio sei meno soggetto ai cambi. Però è un primato che mi rende orgoglioso».

Al suo fianco ci sono sempre Ciofi e Mangraviti, altri due titolarissimi. Può dire un pregio e un difetto di entrambi?

«Andrea è il nostro capitano, è un ragazzo umile e generoso, da quando sono arrivato mi ha spiegato cosa è il Cesena e cosa è Cesena. Direi che è stato convincente e me lo ha spiegato bene. Ogni tanto è troppo rosicone quando perde le partitelle in settimana (sorride, ndr), mentre io la vivo con più leggerezza. Max è un difensore che trasmette sicurezza e tranquillità, la sua pacatezza mi piace molto, perché anche io vivo così il calcio. Quanto al difetto, a volte è fin troppo... professionale: è un martello pneumatico sempre acceso».

In carriera lei è transitato anche dall’Inter, poi ha fatto tanta gavetta. Nel suo percorso è stata più formativa l’avventura con la Primavera nerazzurra o la lunga esperienza in provincia?

«Quando vieni da fuori e diventi un giocatore dell’Inter, ovviamente sei felice e orgoglioso, anche se io ho sempre tifato Milan, a differenza di mio padre, nerazzurro. Dal punto di vista professionale è stata un’esperienza bellissima, che mi ha permesso di giocare campionato, Torneo di Viareggio e anche la Youth League. Però, dal punto di vista formativo, penso che le esperienze più utili siano altre. Quando hai 17-18 anni non conta la categoria, ma conta abituarsi a giocare con i grandi. Tanto, se vuoi fare il calciatore, devi giocare con i grandi e quindi io consiglierei sempre di fare almeno un’esperienza in provincia: è quella che ti aiuta a crescere più velocemente».

Lei l’ha fatta alla Pro Patria, dove ha giocato dal 2014 al 2019.

«A Busto sono diventato grande, anche se ero vicinissimo a casa. Nel 2018 abbiamo vinto la Serie D e lo scudetto con Javorcic come allenatore, è stata la parentesi più bella».

Qual è stato l’allenatore più importante della sua carriera?

«A livello caratteriale ed emotivo scelgo proprio Javorcic, che mi ha trasmesso tanto, mi ha fatto svegliare e diventare grande più velocemente. Con lui ho capito che avrei voluto e potuto fare il calciatore, poi l’ho ritrovato a Bolzano e ho vinto un altro campionato, portando per la prima volta in Serie B il Sudtirol. Poi c’è stato Mignani, con cui ho sempre avuto un ottimo rapporto dentro e fuori dal campo. E infine Bisoli, che mi ha fatto capire che avrei potuto giocare anche in Serie B».

Quanto ha impiegato, la scorsa estate, per accettare la proposta del Cesena?

«Quando ho capito che il Modena aveva fatto altre scelte ed ero in uscita, dopo un paio di giorni c’è stato un contatto con Fusco e successivamente una telefonata con Mignani, che ha reso ancora più rapida la trattativa. Diciamo che non ha avuto neppure bisogno di convincermi».

All’orizzonte ci sono Monza e Modena, due gare molto affascinanti e per lei anche sentite. Partiamo da quella in programma tra due giorni.

«Lo classifico come un big-match, nonché una partita stimolante contro una squadra fortissima, che assomiglia tantissimo al Sassuolo di un anno fa. Il Monza ha faticato nel primo mese ma poi i giocatori si sono adattati e hanno trovato stabilità ed equilibrio. Sarà una partita da vivere con curiosità e spensieratezza, vogliamo capire il nostro livello di maturità, cosa abbiamo e cosa ci manca per restare lassù».

Poi ritroverà il Modena da avversario. Che effetto le farà?

«Un effetto particolare e strano. A Modena ho vissuto due bienni che per me hanno rappresentato tanto. Il primo è stato il trampolino di lancio della mia carriera, la prima vera esperienza lontano da casa, sono cresciuto come calciatore e come uomo. Mi dispiace aver chiuso male la mia avventura un anno fa, è il più grande rimpianto che ho e che mi porto dentro. Ma restano i ricordi positivi, che sono tanti».

Il più bello?

«Il derby che abbiamo vinto un anno fa a Reggio Emilia: il segno 2 mancava da una vita».

Con la maglia del Modena, un anno fa, ha segnato solo un gol...

«Già, di venerdì sera, al Manuzzi, contro il Cesena e sotto la curva Ferrovia. Prima o poi dovrò farmi perdonare...».

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