Il piano B che non si è visto a Modena

Prima di certe tappe del Giro d’Italia il grande Adriano De Zan all’inizio della telecronaca era solito dire: “Oggi non capiremo chi vince il Giro d’Italia, ma capiremo chi non lo vince”. Il Cesena ieri sera ha chiarito che non arriverà primo e il motivo glielo ha spiegato il Modena, ma solo in parte. Quella di Tesser è una squadra fortissima, con una panchina talmente lunga che parte da Nonantola e finisce a Sasso Marconi, con alcuni atletoni che per struttura sono già da B. Il Cesena era alle prese con un derby contro una squadra più forte: ha provato a fare a gara a chi gioca meglio secondo la sua linea di pensiero, poi si è ritrovato sotto 1-0. A quel punto serviva qualcosa d’altro che invece non si è visto: zero ammoniti, poca garra nei contrasti, zero tracce di 5 minuti filati da battaglia. Nessuno voleva una partita da risse e sputi, ma un piano B a livello caratteriale, quello sì; facce diverse per arrivare a un numero dignitoso di tiri in porta, risorse di temperamento che facciano luce quando l’interruttore del talento non funziona. Nessuno obbligava il Cesena ad arrivare primo, ma se non abbina un po’ di spirito da battaglia alla sua voglia di giocare a calcio, troppe buche nel percorso dei play-off sembreranno ostacoli insormontabili. I play-off sono le gare di carattere per eccellenza e almeno il viaggio a Modena è servito a ricordare il primo aspetto dove c'è da migliorare.

Qualche esempio del passato di squadra che impastava talento e carattere sul tagliere? Beh, non mancano. Scegliamone una. Inverno 1999, Alberto Cavasin ha dato una sferzata al gruppo soprattutto dal punto di vista mentale: quel primo Cavasin non è un allenatore, è una raccolta di poesie di Ugo Foscolo, è un incrocio tra il Mel Gibson di “Braveheart” e il Bud Spencer di “Lo chiamavano bulldozer”. Lo sbarco del Cava in quella stagione parte piano con risultati a singhiozzo, poi arrivano scelte forti con l’accantonamento di Agostini e Gadda e si delineano nuove gerarchie in gruppo, con Rivalta, Baronchelli, Superbi, Manzo e compagnia a fare da piedistallo al talento pazzesco di Salvetti e Comandini. E col passare delle settimane, quel Cesena diventa un gruppo di indiani Apaches che combatte in rimonta per la salvezza in una B di altissimo livello, con Torino (Ferrante 26 gol), Napoli, Atalanta (Caccia 18 gol), Brescia (Hubner 21 gol).

Cavasin mette regole rigide in campo (3-5-2 scolpito nel marmo) e pure nelle uscite serali, con i suoi controlli notturni ai giocatori che fanno capire perché da calciatore giocasse stopper. E’ una specie di gps umano lungo le vie del centro e una volta in una ronda notturna beccò un’anima candida del gruppo che si era attardata in via Strinati fuori dal "Birikkina". L’anima candida in questione era il ventenne Emiliano Bonazzoli, ragazzo d'oro che alla vista notturna del suo allenatore tenne gli occhi bassi e in pieno spirito di gruppo non fece i nomi dei compagni di serata che se ne erano appena andati. Il Cava aveva gli occhi che fiammeggiavano, provò invano a ottenere la lista dei convocati della serata, poi sibilò tre parole (“Fila a casa”) per fare sgommare via il suo centravanti. 

Poche settimane più tardi, un variegato gruppo che comprendeva Cavasin, qualche amico e alcuni giornalisti si ritrovò al “Uannabi”, locale gestito da Alessandro Braschi (per tutti Brio) nei pressi della stazione ferroviaria, dove un tempo sorgeva l’hotel Rialto. Si era in febbraio, alle porte del carnevale, e la gestione del Cava aveva alzato la media-punti e abbassato la media-uscite dei calciatori, anzi: stava andando a finire che usciva solo lui, visto che lo si vedeva spesso in giro. Da qui il saluto del gestore Alessandro-Brio Braschi, in un dialogo che andò più o meno così.

“Mister, da tifoso la ringrazio per quello che sta facendo. Da proprietario di un locale, le confesso che sono un po’ meno contento: a causa sua, ho subito una drastica riduzione della mia clientela”.

“Beh, però conta la classifica. Se il Cesena va bene, è meglio per tutti no?”

“Certo, come no. Però sa, anche i locali devono lavorare, poi ora arriva anche il carnevale, è una festa che a Cesena ha una grandissima tradizione”.

“Il carnevale di Cesena? Non lo conosco. Ha davvero una grande tradizione?”

“Beh, certo, ha una grande tradizione soprattutto perché lo organizzo io”.

“Davvero?”.

“Certo, sapete la battuta che gira nel mondo del calcio? Edmundo al carnevale di Rio, Comandini al carnevale di Brio”.

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