Filippo Fusco, 23 punti e terzo posto in classifica dopo 12 giornate. Cosa pensa della partenza del Cesena?
Fusco: “Cesena e il gusto di un calcio antico tra Bielsa e Benitez”
«La classifica oggi è relativa, perché la B comincia a febbraio. Dalla gara con l’Empoli che inaugurerà il 2026 alla sosta di marzo avremo 14 partite di fila, quindi un altro tipo di campionato. Detto questo, meglio avere 23 punti che 10. La squadra ha fatto un lavoro eccellente e l’allenatore ha dimostrato il suo valore. Questi 23 punti sono figli del suo lavoro, dei valori tecnici della squadra ma anche di tanto altro. In estate, ad esempio, avevo detto che avremmo potuto sbagliare i giocatori, ma non la scelta degli uomini. Ecco, oggi posso garantirvi che su questo non abbiamo sbagliato nulla».
All’appello mancava una vittoria larga dopo aver finalmente sfruttato tutte le chance. Se il Cesena comincia a vincere anche queste partite, dove può arrivare?
«L’obiettivo è non soffrire e fare un campionato tranquillo e di valorizzazione dei nostri giovani. La vittoria di domenica dà un segnale importante, anche se paradossalmente avevamo giocato meglio altre gare che poi non abbiamo vinto, tipo Bari. Questa squadra ha ancora ampi margini di crescita, sia a livello collettivo che di singoli».
Qual è il giocatore che l’ha sorpresa di più in queste prime 12 giornate?
«Tommaso Berti. Era un giocatore in evoluzione e questa evoluzione la stiamo vedendo, non solo in relazione al campionato scorso, ma anche in relazione alle prime due giornate di questo campionato, che aveva giocato da play. Eravamo convinti che Castagnetti avrebbe potuto valorizzare ulteriormente Tommy, che a sua volta si sarebbe esaltato con un play più di palleggio e meno dinamico. E così è stato. A proposito di play, voglio sottolineare anche il rendimento altissimo che sta avendo Calò a Frosinone, un altro giocatore di nostra proprietà. A Giacomo in estate avevo detto che noi non volevamo uno più bravo di lui, ma uno più funzionale. Era nostro compito trovargli una squadra in cui si sarebbe potuto valorizzare e questo è accaduto. Per questo, il fatto che stia facendo bene non è una sconfitta per noi, ma un motivo di orgoglio».
Cosa manca a Diao e a Olivieri per arrivare al livello di Shpendi e Blesa?
«Olivieri è partito in ritardo, al di là della burocrazia, per colpa di un problema a un piede. Vedrete che darà un grande contributo, sa come si vince la B e crescerà. Diao ha un potenziale clamoroso, che vedo in allenamento. Se paragoniamo le due gare da titolare che ha giocato, contro Frosinone e Carrarese, si nota una grande differenza. Deve solo avere pazienza e tempo. In questo momento Blesa e Shpendi sono i titolari, ma anche loro possono migliorare tanto. Shpendi ha almeno due o tre occasioni in ogni gara e può segnare ancora di più. Jalen, invece, a volte è troppo altruista: lo vorrei più egoista e determinante al tiro».
Di Taranto ha detto che una delle chiavi di questa partenza è l’incastro tra direttore sportivo e allenatore. Come definirebbe il suo rapporto con Mignani?
«Un rapporto di condivisione assoluta, innanzitutto di valori, che per osmosi si trasmettono alla squadra. Siamo due facce della stessa medaglia, lui è il protagonista, io devo creare le condizioni giuste per far lavorare lui e i giocatori nel modo migliore. Anche perché tutti ci troviamo nel posto migliore».
Si riferisce a Cesena?
«Sì, qua ho ritrovato un calcio antico, fatto di persone che si incontrano e si confrontano, che condividono valori. Una delle prime volte che sono salito quest’estate in ritiro mi sono emozionato perché ho visto molti ragazzi che giocavano a carte. Tra computer e social, ormai non lo fa più nessuno...».
Il direttore generale ha sottolineato che la proprietà è intenzionata a rinforzare la squadra, quindi la palla passa a lei. Cosa pensa del mercato di gennaio?
«Per me è un mercato importante per chi ha sbagliato il mercato estivo, quindi mi auguro che per il Cesena non sia un mercato decisivo. Di sicuro abbiamo una delle rose più light e asciutte della B. Per ora le soste e i pochissimi infortuni, senza dimenticare le squalifiche che arriveranno, hanno camuffato tutto. Ma da gennaio la questione cambia e io devo prepararmi».
Se il mercato aprisse domani, quale reparto rinforzerebbe per primo?
«Per me la squadra è equilibrata, quindi inserirei un tassello per reparto, proprio perché vorrei migliorare a livello numerico. Una chiave sarà la duttilità tattica. Vorrei trovare giocatori in grado di ricoprire anche più ruoli».
Lei ha il contratto in scadenza. Questo la condiziona?
«No, neanche un po’. Ho spesso lavorato a scadenza, a volte l’ho addirittura chiesto io. Il mio obiettivo è sapere che devo lasciare un’eredità a chi arriverà dopo di me».
Di Taranto ha aggiunto che la proprietà è in una fase di riflessione e si è detto molto ottimista per un eventuale rinnovo, suo e di Mignani.
«Sono due situazioni distinte. Mignani ha dimostrato di essere il vero valore aggiunto per il Cesena. Io non ho mai cercato contratti lunghi, il che non significa che voglia andare via. Di sicuro, fino al 29 giugno, ragionerò come se dovessi restare qua per altri 5 anni».
Che tipo di rapporto ha con il settore giovanile?
«Faro rappresenta la continuità la continuità e oggi ha più responsabilità, Succi è affamato e ha un grande futuro davanti. Poi c’è il Condor. A volte lo dobbiamo frenare, perché sente questo club come una seconda pelle, ma mi ha aiutato tantissimo a entrare nello spirito. Cesena per me assomiglia a Bilbao e questo posto mi ricorda tanto l’Athletic. Là c’è una identificazione totale tra prima squadra e territorio. Qua lo percepisco nel settore giovanile, dove l’obiettivo non è diventare giocatori di calcio ma giocatori del Cesena».
Lei ha scelto di vivere a Montiano, quindi fuori dalla città. Come mai?
«A volte mi piace isolarmi e staccare, per concentrarmi ancora di più. Ad esempio, durante la notte o prima di andare a letto prendo una penna e comincio a scrivere: idee, appunti, operazioni di mercato, profili di calciatori o semplicemente consigli da dare il giorno dopo a un calciatore. Trovo che la notte sia il momento migliore per questo e idealmente, a Montiano, mi sento ancora più distaccato e concentrato. Il merito è anche di Piero e di sua moglie Patrizia, proprietari della casa in cui abito. Mi trattano come un figlio, anche se hanno solo qualche anno in più di me. In questo modo mi permettono di concentrarmi totalmente sul Cesena».
Quante partite guarda mediamente alla settimana?
«Sono un malato di calcio e amo il calcio soprattutto dal vivo. Ferrara era in un posto strategico e alla Spal avrò visto 300 partite dal vivo. Qua è leggermente più complicato, ma in tv all’anno siamo intorno alle 700 partite».
Nel 1992 si è laureato in giurisprudenza. Perché successivamente ha abbandonato la carriera da avvocato?
«Ho fatto l’avvocato per quasi 10 anni e anche il concorso di magistratura. Ma io ero un malato di calcio e la mia vita era già indirizzata, fin da quando mamma mi riprendeva perché guardavo troppe partite. La mia prima ossessione erano i Mondiali e gli Europei. Ricordo ancora gli anni della maturità: avrei potuto saltare un anno al Liceo, perché avevo voti alti, e per questo mi proposero di fare la maturità nel 1986. Ma scelsi di non accettare perché c’erano i Mondiali, quindi feci gli esami l’anno dopo».
Quante lingue parla? E perché ha questo rapporto profondo con la Spagna?
«Parlo portoghese, spagnolo e inglese. E sto studiando il francese, perché la Francia calcisticamente è il Brasile d’Europa. Il rapporto con la Spagna nasce da un Erasmus, durante l’ultimo anno di Università, quando preparai la tesi sulle comunità autonome spagnole, inserendo due riferimenti calcistici come il Bilbao e il Barcellona. Per me la relazione calcio-cultura è strettissima. Un direttore sportivo deve capire in quale club e in quale calcio va a lavorare. Poi, come dice il mio amico Rafa Benitez, il calcio è una bugia, ma è fondamentale riconoscere la realtà».
Lei in quattro mesi si è inserito perfettamente in questa nuova realtà. Cosa pensa quando entra al Manuzzi?
«Penso a Marcelo Bielsa quando mi raccontava di uno striscione che lo aveva colpito quando un giorno entrò in uno stadio argentino. C’era scritto: “non volermi bene perché ho vinto, devi volermi bene affinché io possa vincere”. Vale anche per Cesena: essere vicino a chi vince sempre è più facile, esserlo con chi ci prova sempre è più bello e più sincero».
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