Calcio C, Francesconi: “Stavo per essere ceduto, ora voglio un gol con il Cesena”

Nessuno dica a Matteo Francesconi che la Coppa Italia non conta niente. A lui, che dopo 14 giornate di campionato è il baby bianconero più utilizzato da Toscano, ha semplicemente cambiato una stagione e probabilmente anche la vita: «Dopo l’amichevole di Forlì di quest’estate, dove tra l’altro avevo giocato piuttosto male, il mio procuratore mi disse che probabilmente avrei dovuto lasciare il Cesena per andare in prestito in una bassa C o addirittura in D. Nella prima settimana di agosto avevo la valigia in mano, poi è arrivata l’Entella ed è cambiato tutto».
Il debutto da titolare in una gara ufficiale con il Cesena, il figurone al secondo turno a Bologna e infine le due partite della svolta, contro Ancona e Fermana dopo l’amaro “spuntino” di Olbia. Oggi, dopo un’estate movimentata, è tutta un’altra storia.
Francesconi, si aspettava di essere il giovane più utilizzato dopo 14 giornate?
«No, soprattutto se ripenso a quest’estate, quando a un certo punto ho avuto paura di dover andare via. Per fortuna le due partite di Coppa Italia mi hanno fatto guadagnare fiducia. Poi si sono fatte vive alcune squadre spagnole e portoghesi, ma il Cesena mi ha tenuto e ora sono qua».
Se ripensa a quelle settimane, oggi come si sente?
«Sono davvero contento, perché il calcio è un’altalena: un giorno sembri uno scappato di casa, il giorno dopo diventi un fenomeno. La chiave è l’equilibrio. Dopo Forlì avevo perso fiducia, ero abbastanza triste. La Coppa Italia con l’Entella, da titolare, mi ha regalato una grande occasione. Ho pensato: se non la sfrutto è giusto andare via, ma se la sfrutto posso restare. Quella sera ho capito che avrei potuto dare qualcosa a questo Cesena e ho cominciato a crederci, poi è arrivato il derby di Bologna, contro una squadra di Serie A, e tante cose sono cambiate».
Qual è stata la partita di campionato in cui ha capito che poteva starci davvero?
«Quando sono entrato con l’Ancona, nell’ultima mezz’ora, sul 2-0 per noi. Ero entrato anche a Olbia, ma era una partita diversa ed era paradossalmente più facile entrare perché nella prima ora la squadra non si era espressa bene. Con l’Ancona ci tenevo a mantenere alto il livello: sentire gli applausi quando recuperavo palla o vincevo un contrasto mi ha dato una grande fiducia. Da quel momento mi sono sentito pienamente dentro al gruppo, ho capito che ero uno di loro».
Oggi ha giocato 12 partite per un totale di 669 minuti. Un anno fa di questi tempi era entrato a risultato acquisito con Recanatese e Gubbio per un totale di 17 minuti.
«Un anno fa mi sdoppiavo, andavo spesso in Primavera, e non era facile. Non mi sentivo né un giocatore della prima squadra, né uno della Primavera. Oggi mi sento uno dei 25 e il quarto o quinto centrocampista, uno come tutti gli altri. L’anno scorso, inconsciamente, mi sentivo come un tappabuchi che rimbalzava tra due squadre. Non è stato facile né mentalmente, né fisicamente».
Quest’anno il Cesena cosa ha in più di un anno fa?
«Siamo più spensierati e poi c’è un mix perfetto tra noi giovani e i più esperti».
Contro la Lucchese lei è stato il primo ad accompagnare Pieraccini sotto la curva dopo il gol. Che emozioni ha provato?
«Ero il più felice per due motivi. Primo: la gara era bloccata e un gol in quel momento cambiava tutto. Mi sono detto: siamo fortissimi. Secondo: quando ho visto che ha segnato lui, per un attimo non ci ho creduto. Ora non vedo l’ora di segnare anche io, ci sono andato vicino solo con la Carrarese, ma in questa squadra segnano davvero tutti. Bumbu mi prende in giro perché non riesco a fare gol neanche in allenamento. Spero prima o poi di farcela, magari al Manuzzi, perché nel nostro stadio è un’altra cosa».
Facciamo un passo indietro. E’ vero che la sua famiglia è molto numerosa?
«Sì, ho tre fratelli e due sorelle. Andrea ha 30 anni ed è il più grande, lavora nell’azienda di mio babbo ed è ingegnere informatico. Poi c’è Ilaria, di tre anni più piccola, gioca a pallavolo e lavora come ragioniera sempre da mio papà. Nicola ha 23 anni e studia ingegneria a Bologna, poi ci sono io e infine Sofia, classe 2009, e Simone, classe 2013, i più piccoli che vanno a scuola. Abitiamo a pochi chilometri da Faenza, nella campagna verso Forlì, a Basiago. Quando avevo 4 anni, Nicola giocava a calcio nel Reda e così anch’io ho cominciato a giocare lì, poi mi sono spostato alla Virtus Faenza, mentre in seconda media mi ha preso l’Imolese. L’anno dopo sono venuto a Cesena. Il mio primo allenatore in Under 14 è stato Gianluca Leoni, ho fatto tutto il percorso e ora sono finalmente in prima squadra, ma non posso dimenticare i tanti sacrifici e soprattutto i tanti treni presi: uscivo alle 7 di mattina, mangiavo un panino in stazione dopo la scuola, e tornavo alle 7 di sera».
Cosa significa crescere nel settore giovanile del Cesena?
«Cesena ha un grande pregio: come livello di insegnamento è alla pari delle società di Serie A. Ma rispetto a questi club, ha anche un grande vantaggio: non essendo in A, a 15-16 anni non puoi montarti la testa e sbandare. A Cesena devi sempre tenere i piedi per terra e non puoi mai mollare, perché sai che prima o poi una chance arriva».
Qual è il suo calciatore-modello?
«Casemiro, ma non solo come gioca. Mi ha colpito una sua frase: “In una partita un calciatore tiene la palla tra i piedi al massimo due minuti, mentre nei restanti 88 deve essere ben posizionato in campo”. Ecco, non avendo i piedi d’oro, io non devo sbagliare quegli 88 minuti».