Esattamente un anno fa, Francesco De Rose conquistava con il suo Palermo la qualificazione ai quarti di finale dei play-off di C, lo scalino dal quale partirà tra poco più di due settimane con il Cesena nella nuova scalata che porta alla B. Il centrocampista calabrese sa perfettamente come si vincono i play-off, ma a 35 anni suonati non ha mai vissuto una situazione simile a quella attuale, con 33 giorni senza partite che rischiano di rimescolare le carte del mazzo.
De Rose, siamo a metà di questo mese senza… calcio: l’ultima gara di campionato l’avete giocata il 23 aprile, la prossima è in programma il 27 maggio. Le era mai capitato di vivere un periodo così?
«No, non mi era mai capitato di restare fermo più di un mese, neppure per una squalifica. E’ un periodo strano e particolare, durante il quale cerchiamo di curare i dettagli e di limare quei piccoli difetti che non ci hanno permesso di vincere il campionato. Ai play-off vince chi sbaglia meno, ma allo stesso tempo non devono mai mancare serenità e spensieratezza, altrimenti non si va da nessuna parte. Per un calciatore questo è un periodo ingannevole: se non colleghi già ora la testa, poi è tardi. Non puoi permetterti di farlo solo nell’ultima settimana. Il pensiero deve essere uno e fisso anche ora».
Qual è la difficoltà più grande dall’alto della sua enorme esperienza?
«La mancanza dell’adrenalina e della partita. Noi siamo animali da campo, ma ora non ci possiamo ancora preparare per la partita. Quando prendi una squalifica di una o al massimo due giornate, scaricare la tensione e ricaricare un po’ le pile può essere anche utile e una settimana ti aiuta anche a staccare mentalmente, ma qui non puoi staccare mentalmente, rischi di farti male o di allenarti male. La competizione è fondamentale, così come tenere alto il livello dell’allenamento».
Avete chiuso bene il campionato. Fermarsi vi ha penalizzato?
«Per come stavamo giocando sì, però si sono fermati tutti e non sarà facile neppure per gli altri. Sono convinto che non pagheremo a caro prezzo questa sosta».
Un anno fa lei ha vinto i play-off con il Palermo. Cosa serve per festeggiare la B in un torneo così lungo e difficile?
«La ricetta è una: creare un’alchimia ancora più forte, un’unione totale che abbraccia idealmente squadra e città. Non che quest’anno a Cesena non ci sia stata, anzi. Ma chi non c’è stato o non l’ha percepita, ora deve esserci e la deve percepire ancora di più. Ai play-off vince chi ha più energie mentali. Soprattutto quest’anno. Noi siamo forti e questo è un bel vantaggio. L’altro grande vantaggio è che è forte anche la nostra gente».
Qual è la prima cosa che le viene in mente ripensando all’anno scorso?
«Se chiudo gli occhi, ripenso innanzitutto a quando ho alzato la Coppa dopo la finale, davanti a più di 35mila persone. E’ il momento più bello, capisci che ce l’hai fatta davvero. L’altro aspetto bellissimo è che stai praticamente insieme, con i compagni e lo staff, per un mese, come se si giocasse un Mondiale o un Europeo».
Il suo Palermo chiuse come migliore terza. Ma come arrivò ai play-off?
«Venivamo da un campionato altalenante, molto meno positivo di quello di quest’anno con il Cesena. Nella prima parte non giocavamo da Palermo e cambiammo allenatore, nella seconda abbiamo cominciato a spingere e alla fine ce l’abbiamo fatta, giocando dei play-off sensazionali. Ai play-off ti puoi chiamare come vuoi, ma conta stare bene. E noi stavamo benissimo. Poi avevamo un altro vantaggio: a differenza di tutte le altre squadre, noi giocavamo in casa anche... in trasferta».
Il vostro percorso cominciò agli ottavi contro la Triestina.
«In questi casi la partita più pericolosa è la prima, ma noi a Trieste giocammo una grande gara e vincemmo 2-1. Nel ritorno, al debutto al Barbera, sentimmo un po’ il contraccolpo, non partimmo bene, andammo sotto, poi loro sbagliarono anche un rigore, ma con l’1-1 ci qualificammo».
Ai quarti, da testa di serie, l'urna vi riservò l’Entella. E con i liguri è stato il turno più difficile e rischioso.
«Sì, soprattutto al ritorno. Dopo il successo al Comunale (2-1, ndr), al Barbera partimmo bene ma ci annullarono un gol regolare sullo 0-0. L’Entella ne approfittò e ce ne segnò due. Sotto 2-0 eravamo virtualmente eliminati, ma per fortuna ci pensò la panchina: i cambi furono determinanti per raddrizzare la partita (da 0-2 a 2-2, ndr) e per andare in semifinale».
Dove vi siete sbarazzati agevolmente della Feralpi, prima di battere due volte anche il Padova.
«Paradossalmente semifinale e finale diventarono due passeggiate: avevamo raggiunto il livello massimo e la squadra giocava a memoria. A Padova disputammo una gara mostruosa contro una squadra molto più forte di noi, ma difficilmente in quei momenti vince la squadra più forte».
In che senso?
«Noi avevamo un giocatore fuori categoria come Brunori, ma per il resto eravamo molto più operai di loro. Solo che eravamo un blocco unico: 11 titolari, 5 subentrati, chi restava in panchina e Baldini. Non ci avrebbe battuto nessuno in quel momento. Poi ci fu un altro aspetto: l’importanza e il peso di chi durante l’anno fece più fatica e che ai play-off cambiò completamente la propria stagione e quella della squadra, come Floriano, che si trasformò letteralmente. Ecco, il bello dei play-off è che basta una partita per cambiarti la vita».