Calcio, lunedì al Tennis Club Faenza una serata dedicata ad Edmondo Fabbri

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La figura di Edmondo Fabbri, l’allenatore di calcio nato a Castel Bolognese il 16 novembre di cento anni fa, sarà celebrata nella serata di lunedì 27 dicembre al Tennis Club Faenza. Alle 20.30 ne ripercorreranno la storia sportiva i giornalisti Giuseppe Tassi, Alberto Bortolotti e Tiziano Zaccaria, mentre i tre figli Roberto, Riccardo e Romano ne tracceranno un profilo più personale e privato. Non mancheranno altri interventi.

Partito da una famiglia di umili origini, Edmondo Fabbri era arrivato con merito alla guida della nazionale di calcio. Malgrado la sua bassa statura – da qui l’appellativo di “Mondino” - ebbe anche una buona carriera da calciatore, trascorsa per una decina d’anni in serie A fra Atalanta, Inter e Sampdoria. Poi la scelta di allenare. Gli diede fiducia il Mantova, che in soli cinque anni portò dalla serie D alla A. Fabbri si rivelò tecnico preparato, intelligente, arguto e moderno. In un periodo in cui imperava il “catenaccio”, il suo Mantova ruppe gli schemi: proponeva un gioco offensivo di qualità, vinceva e divertiva, tanto che fu ribattezzato “il piccolo Brasile”.

Edmondo divenne l’uomo nuovo del calcio italiano e a soli quarant’anni, nel 1962, fu chiamato a guidare la nazionale, invocato come il salvatore della patria dopo le delusioni degli anni precedenti. E i risultati non mancarono: in quattro anni ottenne 17 vittorie, 5 pareggi e sole 3 sconfitte, appoggiandosi soprattutto sul talento di Bulgarelli, Rivera e Mazzola. La sua nazionale arrivò ai mondiali inglesi del 1966 spinta da un giustificato entusiasmo. Ma il 19 luglio, a Middlesbrough, la sconfitta contro la Corea del Nord la escluse dalla competizione iridata. E tutto crollò addosso a Fabbri, che al rientro in Italia fu processato, umiliato, isolato, deriso, perfino minacciato di morte. Divenne il capro espiatorio di quella disfatta.

In seguito, pur facendo cose apprezzabili e vincendo due Coppe Italia con il Bologna e il Torino, Edmondo non riuscì più a scrollarsi di dosso il peso di quella sconfitta. Molti suoi azzurri ebbero modo di riscattarsi, vincendo l’Europeo nel 1968 ed arrivando alla finale dei Mondiali messicani del 1970. Solo Fabbri, che aveva messo le basi di quella nazionale, restò ingiustamente l’unica vittima sacrificale.

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