Calcio C, Rimini, il raduno più mesto che sa tanto di rassegnazione


Ieri il Rimini è partito per il ritiro. Non si sa bene se per il ritiro pre-campionato o per il ritiro pre-abisso. Nessuno lo sa, anche perché non c’era nessuno della proprietà a dare spiegazioni, anche se richiesti a gran voce per spiegare cosa sta succedendo. Per raccontare se questi dieci giorni che separano la società dalla dead-line del primo agosto, giorno in cui dovrà essere pagato un milione per gli stipendi di giugno ed i premi, saranno giornate di purgatorio o inferno. Così il giorno della partenza del ritiro è diventato solo una tappa di questa estate di sofferenza in casa biancorossa. Il colore di questo pezzo sul colore è grigio antracite, una tonalità spenta tendente al nero.
La doppia novità
Le novità della partenza per il ritiro sono state fondamentalmente due. Innanzitutto il numero dei tifosi, una trentina, era superiore al numero dei giocatori partiti per Riolo Terme. Fino all’anno scorso c’era qualche tifoso, ma niente di eclatante, tre anni fa quando si partì all’alba erano in tre, e pullman bello pieno con auto al seguito di dirigenti e staff tecnico. Quest’anno i giocatori si sono diretti sul torpedone in tutta fretta ed in silenzio. In un silenzio generale ed emblematico. Tutto si è svolto con un profilo molto basso. D’altronde una contestazione non avrebbe avuto senso.
E poi è cambiata la liturgia della partenza. Finora si caricavano i bagagli in Piazzale del Popolo, era metaforicamente la partenza di una stagione che a luglio lascia sempre sognare, ed una volta piena la stiva quel classico rumore della portiera che si chiude e l’applauso. Gesti istintivi e semplici, messaggi di vicinanza e supporto che ora non esistono più. Ieri tutto si è svolto nel parcheggio interno, alle 10.10 il torpedone è partito in un clima di indifferenza e smarrimento. Perché la partita vera non si gioca a Rimini, non si sposta a Riolo Terme, rimane ancorata alla direttrice Campobasso-Zurigo.
Un popolo ammutolito
E così il popolo dei tifosi biancorossi rimane ammutolito. Un popolo di nonni quello visto ieri che dovrebbe far parte integrante dello slogan “We are family”, in realtà gente incanutita dagli anni e dai dispiaceri per fallimenti e retrocessioni che si sono susseguite periodicamente negli anni. Persone di una certa età che mantengono un equilibrio molto dignitoso, che conoscono a menadito parole come due diligence, cordata, joint venture. Con discrezione cercano di carpire un cenno, un’indicazione, una valutazione, chiedono ai giornalisti presenti che a loro volta chiedono a loro le impressioni. Un corto circuito mediatico che si spiega solo quando si naviga a vista.
Resistono in pochi
L’unica considerazione che tutti si sentono di fare è che se il Rimini Football Club c’è ancora è per quei due-tre dirigenti che resistono ancora e che sono riusciti a mettere insieme uno staff per seguire i giocatori nel ritiro. Ma con la consapevolezza che se non accadrà qualcosa di concreto nei prossimi nove giorni, anche questo improvvisato fronte comune crollerà di fronte all’evidenza. Poco più di una settimana per capire se il “Romeo Neri” che si sta ristrutturando ospiterà ancora partite del Rimini, di questo Rimini almeno.