Il Cesena, il quadro di Castagnetti e il recinto del roseto

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Il primo che visiterà la sua casa cesenate aiuterà a risolvere il mistero. È evidente che Michele Castagnetti ha un quadro che invecchia al posto suo, resta giusto da capire in quale parete l’abbia appeso. Il suo arrivo completa la doppia missione di Fusco e Mignani: sforbiciare le spese, arricchire il settore adulti. Fino a qualche mese fa c’era un solo vero caporeparto (Prestia), ora il triangolo Zaro-Bisoli-Castagnetti è tutto quello che mancava l’anno scorso, il recinto per il roseto di Berti e compagnia. È un bell’andare presentarsi in trasferta con Castagnetti e Bisoli, però guardiamola anche dall’altro lato: aumentano gli indizi che sia bello entrare nel gruppo del Cesena. Ci sono problemi che non risolvi solo comprando al mercato (la Sampdoria per esempio non li ha risolti): un buon acquisto diventa un grande acquisto se lo metti in un gruppo che funziona e il Cesena funziona, dai titolari alle riserve.

In questo primo anno abbondante, quando Mignani ha panchinato qualche giocatore non lo ha mai incenerito, provando sempre a recuperarlo. Magari dovrà lavorare sulla piena empatia con la piazza, ma sono finezze di fronte ai punti a palate che sta facendo; in più come gestione della squadra, più segnali confermano che siamo di fronte a un allenatore credibile. Da Kargbo a Diao passando per Antonucci e Adamo, ci ha sempre proposto la condotta di un tecnico da figura paterna, ovvero: se serve ti faccio degli shampoo in privato, ma non ti incenerisco mai in pubblico, perché siamo una squadra e c’è bisogno di tutti, come in famiglia. Parliamo dell’esatto contrario di quanto accadde a casa di Reinhold Messner, il celebre scalatore secondogenito di nove fratelli. Tutti sanno che faccia abbia Messner, una specie di Cecca-Cecca che non si fa la barba da anni. Una faccia non proprio da allegrone, eppure la sua autobiografia contiene pennellate di spessore. I genitori di Messner crearono una affollata famiglia grazie a 8 maschi e una femmina di nome Waltraud, una ragazza che il padre Josef definì “un roseto in mezzo a 8 sacchi di letame”, con quel delicato detto e non detto che a volte solo i padri sanno davvero esprimere. Nel Cesena ora c’è Berti in versione roseto, ci sono l’impianto di irrigazione e il recinto e vista da fuori non c’è traccia dei sacchi di letame. O Mignani si tiene tutto dentro e nasconde bene i sacchi, oppure per il secondo anno di fila sta costruendo un gruppo che funziona.

A proposito, chi era Cecca-Cecca? Un personaggio felliniano dello stadio di Cesena e fino agli Anni 80 era un simbolo dei settori popolari. Armato di passione vera e pure di una esagerata fiducia nel genere umano, andava alle partite vestito con un mantello bianconero. Lo fece anche a Marassi, in un antico Sampdoria-Cesena del 1980-’81: il mondo del calcio non era pronto a una visione del genere e i tifosi doriani lo riempirono di schiaffoni. Ne prese tanti, ma talmente tanti che se fosse stata una scena del film “Le Iene”, il regista Quentin Tarantino avrebbe fermato tutto per dire: “No ragazzi, così è troppo anche per me, rifacciamola un po’ più blanda”. La passione di Cecca-Cecca però non si spense, continuò indefesso ad andare allo stadio e ogni volta che dagli spalti della Fiorita gli urlavano: “Quando torni a Genova?”, sorrideva pacioso agli astanti, sollevando le braccia e invitando con le dita delle mani ad alzare lo sguardo verso il cielo, in auspicio ad un futuro migliore. Il problema erano le dita che usava per indicare il cielo, ma questa è un’altra storia.

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