Il Cesena, i gol di Shpendi e lo stadio come test di sopravvivenza

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Palla al centro di Cesena-Carrarese: buttiamo un occhio al recente passato dei 22 uomini in campo. Nella scorsa stagione, 17 giocavano in C, ovvero tutta la Carrarese e 6 giocatori del Cesena; 3 giocavano in B (Curto, Mangraviti e Calò), uno nella A italiana (Bastoni) e uno nella A svedese (Ceesay). Poi il Cesena l’ha vinta ancora una volta con i suoi tenori di C e a Shpendi evidentemente nessuno ha ancora detto che è cambiata la categoria. Ha già fatto gol contro squadre di A (Verona), B (Carrarese) e C (Padova) e ogni volta il commento alla sua partita terminava con la frase: “Poteva segnarne almeno uno in più”. Berti invece si muove come uno che sa che è salito di categoria ed è il primo ad esserne contento: più sale il livello tecnico, più diventa il suo calcio. Il risultato sono 3 punti che si ricorderanno per tutto il campionato (la prima vittoria alleggerisce subito la testa), in attesa di almeno un paio di innesti. Il giro dei cambi in difesa si è aperto con un Ciofi credibile, mentre il giro dei cambi a centrocampo e in attacco ha detto che ci vuole un rinforzo per reparto. Il tutto in un Manuzzi da 11mila spettatori abbondanti, un palcoscenico che sta rivedendo il tipo di spettacoli che merita.

A proposito di spettacoli. All’inizio di agosto se ne è andato uno dei migliori giornalisti italiani: si chiamava Massimo Cotto, scriveva e parlava di musica. Ci sono concerti che diventano ancora più belli quando te li raccontano bene e Massimo Cotto era un discepolo indefesso di Bruce Springsteen, capace di narrare con la dovizia di un amorevole badante l’inevitabile percorso verso la terza età del Boss.

Visto che Springsteen viaggia per i 75 anni, ora ogni suo concerto alimenta nei fans dei dibattiti da sala d’attesa del medico sui suoi dolori sparsi (“Come va la voce? Ha la schiena bloccata? Apperò che rughe”). Massimo Cotto invece è riuscito ad andare oltre, lasciandoci una massima che è già poesia: “Si va a vedere un concerto di Springsteen non per vedere come sta lui, ma per vedere come stai tu. Se sei ancora capace di commuoverti, esaltarti, urlare. Se sei ancora vivo”.

Il concerto di colori di ieri sera per il ritorno in B ci ricorda che il Manuzzi resta qualcosa di speciale. Certo, ci saranno senza dubbio tanti posti più salubri da frequentare rispetto a uno stadio di calcio. Di più: il problema di iniziare un campionato dopo un’Olimpiade è che spuntano tanti appassionati di altri sport che ti raccontano di mondi molto migliori. E il guaio è che hanno ragione loro.

Resta una differenza di fondo. Nell’Olimpiade, il protagonista rimane l’atleta, mentre andare allo stadio ormai va oltre Cesena-Carrarese o Sassuolo-Cesena: è ancora sentirsi parte di una comunità che ha voglia di ritrovarsi insieme, al di là di una partita bella o brutta. Come si spiegherebbe altrimenti quella fobia che non passa mai di moda di accelerare il passo man mano che ci si avvicina allo stadio? Eppure i posti sono tutti numerati, non c’è più il rischio che qualcuno stia occupando il tuo seggiolino. Si accelera il passo come se lo stadio fosse una specie di rifugio, l’ultimo avamposto dove ci si sente ancora degli appassionati di calcio e non consumatori da pacchetti di pay-tv che cambiano in maniera irrispettosa.

Va a finire che la partita è come un concerto di Bruce Springsteen e Massimo Cotto ci aveva preso anche qui. Non si va allo stadio per vedere come sta la tua squadra, ma per vedere come stai tu. Se sei ancora capace di commuoverti, esaltarti, urlare. Se sei ancora vivo.

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