Il Cesena, De Rose e i campeggiatori dell’Est

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Ci sono giocatori manifesto di chi li allena e Francesco De Rose è il manifesto del calcio di Domenico Toscano. Una grande partita di De Rose coincide quasi sempre con una vittoria: quando il portavoce dell’allenatore si spiega bene e riesce a dare l’esempio, il Cesena diventa una squadra credibile dalla testa ai piedi. Non solo: più il suo collega di reparto corre, più De Rose è libero di pensare calcio e non è un caso che il suo partitone sia arrivato con Francesconi al fianco, un ragazzo che più che un contachilometri ha uno sfondachilometri e in ogni partita fa vedere qualcosa di diverso e migliore.

La Carrarese conferma che quest’anno il livello della parte sinistra della classifica si è alzato nonostante gli stenti iniziali di Entella e Spal e la profondità del Cesena è il valore più importante. Mancava la punta più completa (Shpendi), Corazza ha lottato senza vedere la porta, Ogunseye ha bucato la partita, però l’ha risolta Kargbo, sulla carta la quarta punta della rosa.

Il collante di tutto in ogni caso resta De Rose, uno con stimoli superiori nonostante l’età, il Riccardo Bocchini applicato a Toscano. Una ventina d’anni fa, vedevi Bocchini in campo e davi per scontato che avrebbe allenato, anche perché aveva iniziato ad allenare mentre giocava. Per esempio prima della finale di ritorno dei play-off a Lumezzane, 19 giugno 2004. Nell’ultima rifinitura al Manuzzi, ad un certo punto Bocchini fece un robusto shampoo a un Bernacci che stava uscendo troppo presto dal campo: «Resta qui, dove cavolo vai? Si sta tutti insieme. Noi domani ci giochiamo la vita. Guardami pure male, tanto non me ne frega niente».

Era la vigilia di una finale che valeva la promozione: c’erano giocatori bravi e allenatori bravi anche allora, con la differenza che ci si prendeva un po’ meno sul serio e quindi l’allenamento era a porte aperte. L’aria era elettrica e la percepiva anche Edmeo Lugaresi, che non era più operativo, ma restava il primo tifoso e non stava nella pelle. A fine allenamento, Lugaresi si fermò a parlare con due giornalisti (Corriere Romagna e Corriere dello Sport-Stadio). Il Cesena doveva vincere a tutti i costi a Lumezzane e Lugaresi inquadrò in poche parole il tema del match: «Vedete ragazzi, gare come questa sono una roulotte russa». E nelle ore precedenti la partita, noi ci immaginammo questi impavidi campeggiatori dell’Est Europa che valicavano gli Urali per raggiungere Lumezzane e vedere la finale di ritorno dei play-off di C1. Arditi proprietari di caravan talmente fanatici di calcio da essere disposti ad attraversare mezza Europa per vedere Peccarisi e Tedoldi contro Fracassetti e Piovani. Calciofili balcanici che agganciavano impavidi il rimorchio all’auto cercando un camping in Val Trompia per capire se davvero Castori l’avrebbe fatta pagare ai Longobardi (chiamò così i lumezzanesi per tutta la settimana). E alla fine Castori uscì vincitore, chiuse la porta della roulotte russa in trionfo, ma con la condanna di aprire le porte di svariati gabbiotti degli stadi di mezza Italia, anche se questa è un’altra storia.

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