Un tempo con i guanti da giardinaggio a potare le rose della siepe di Shpendi, un altro a sporcarsi le mani, per vangare la trincea di Zaro. Il Cesena sta diventando adulto e ora vince pure le partite da pareggio. Il valore di Mignani sta nel raccogliere valanghe di punti senza dimenticare di essere cortese con tutti noi. Con una nuova serie di vittorie, ci sta facendo prendere fiato, così alla prossima partita grigia avremo aria nei polmoni a sufficienza per tornare a dire che è stata colpa sua.
Quando non si riesce a giocare, è il momento di sapere soffrire di squadra. I tre punti di ieri passano da un valore che il Cesena ogni tanto dimentica e gli tocca andare a ripetizione. Ieri ha riproposto questo valore contro uno dei migliori insegnanti di ripetizione che abbia mai avuto, uno che oggi allena il Sudtirol. Per ricordare bene chi c’era dall’altra parte in panchina, proviamo a tornare allo stadio Manuzzi, sera del 27 luglio 2005.
“Piacere, tu non mi conosci, io sono Castori”. Quello più alto dei due strabuzzò gli occhi, poi allungò la mano per salutare un allenatore ex curvaiolo della Juve, uno che nel 1974-75 fece il servizio militare a Torino e si vide tutte le partite fino allo scudetto. Quello più alto era il centravanti della Juventus di Fabio Capello. Era appena finito il Memorial Lugaresi 2005 ed entrambi lo avevano visto dalla tribuna. Zlatan Ibrahimovic per un lieve infortunio, Fabrizio Castori per una non lieve squalifica. “Complimenti mister, siete una bella squadra, farete una bella stagione”. E Ibra in effetti ci prese: quel Cesena in B arrivò alle semifinali play-off.
“Tu non mi conosci, io sono Castori”. Quando arrivò a Cesena nell’estate 2003, nessuno lo conosceva, così avanzava lui per primo: approcciava sottovoce se trovava educazione, diventava baritonale alla Pavarotti se trovava arroganza. Due anni dopo l’incontro con Ibra, ribaltò il mondo di Pavel Nedved. In un Cesena-Juve in B del 2007, Nedved segnò il gol dell’1-2, poi andò ad esultare davanti alla panchina di casa, ma si trovò davanti una fumante locomotiva incastrata in una tuta della Lotto che gli urlava: “Ti aspetto fuori”. Lì Nedved andò in confusione e si mise a pensare: “Non confondiamo i ruoli, io è da una vita che faccio il minacciante, mica il minacciato”. E mentre rifletteva confuso, Papa Waigo segnava il 2-2.
Ha tolto la polvere a un mondo che si stava imborghesendo, ricordando a tutti che avere un bello stadio e avere giocato a Magdeburgo non ti fa vincere la prossima partita. In un memorabile sabato mattina di C, la squadra stava partendo in pullman per una trasferta dopo la conferenza stampa. In quel momento sul piazzale del Manuzzi c’erano i giornalisti e pure un manipolo di soci in buona parte incravattati, freschi di un consiglio appena finito. Dal pullman che si muoveva, spuntò dal finestrino la faccia di Castori che urlava ai soci: “Cosa sono quelle cravatte? Domani allo stadio vi voglio con la canottiera del muratore”. E il problema è che era serio, mica scherzava, quella era la sua vera missione a Cesena.
L’immagine calcistica forse più efficace di tutto il percorso di Giorgio Lugaresi fu quando spiegò l’impatto di Iachini e Castori: “Il Cesena in C era diventato una vecchia signora snob col cerone che si lamenta di tutto, mentre prende il tè coi biscotti. Grazie a loro due, siamo cambiati”. Iachini ha tolto il cerone, l’altro ha buttato via le tazze dal tavolo, completando la rivoluzione, non prima di essersi presentato. “Tu non mi conosci, io sono Castori”: prima ha dato la mano a tutti, poi ha messo tutti in canottiera. E la sua vera vittoria è che a Cesena quella canottiera non se l’è più tolta nessuno.
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