Cesena-Pontedera, la giustizia medievale e l’intervista di Nagatomo

La giustizia sportiva italiana è medievale. È ferma alla carta carbone, ai fax che si inceppano, a un mondo che non c’è più. In tutta Italia hanno il problema di portare gente allo stadio, a Cesena la gente continua ad andarci e in queste settimane c’è il problema di come riuscire a farla stare fuori. Come è possibile che una persona sensibile come Matteo Marani non colga tutto questo? Se ti soffi il naso e getti il fazzoletto, al Manuzzi c’è una telecamera che ti riprende e più in generale, ormai siamo in diretta video in tutti i momenti della nostra vita. Per colpa di un tifoso a Pescara che non è stato riconosciuto, quasi 3.400 abbonati non hanno visto la partita di ieri; per colpa dell’invasione del padre di un giocatore (riconosciuto e giustamente punito) in quasi 10mila si perderanno Cesena-Fermana. A cosa serve tutto questo? Assolutamente a nulla: ieri sera dal settore ospiti è esploso il padre di tutti i petardi e ha fatto un botto pazzesco a pochi metri da raccattapalle, steward e fotografi. Per fortuna nessuno si è fatto male, così il Pontedera non avrà settori chiusi allo stadio. Si procede a botte di fortuna.

La tempesta di gol di ieri sera ha fatto passare in secondo piano la progressiva affidabilità di Pisseri, che ha risposto a un acquisto inspiegabile come quello di Klinsmann in porta. Alle spalle di Pisseri c’è un emergente come Siano e non c’era nessuna ragione tecnica per acquistare un terzo portiere. Il terzo portiere c’era già: è un ragazzo molto promettente della Primavera come Giulio Veliaj e chissà come è contento in questi giorni, lui che vede giocare Pieraccini, Francesconi e compagnia e sogna lo stesso percorso, con motivazioni che può avere solo un ragazzo del vivaio. Il Cesena ha tutto per arrivare primo, basta che non ricominci a fare confusione. C’è un mercato di gennaio dove l’essenziale è non fare danni e una proprietà umile e razionale dovrebbe lasciare fare a chi nel calcio ci lavora da sempre, senza buttarsi in esperimenti esotici senza senso.

Quale è stato l’esperimento più esotico del Cesena? Facile: Yuto Nagatomo, con la differenza che parliamo di un terzino che giocava titolare in una Nazionale a quel tempo emergente come quella giapponese. In quei pochi mesi prima del passaggio all’Inter, Nagatomo lasciò innanzi tutto l’impressione di un giocatore molto forte, poi quella di un ragazzo simpatico e curioso di provare di tutto. Per esempio, sarà anche buono il sushi, ma alla cena del club di Forlì si sparò da solo una fiamminga di tagliatelle al ragù, pulendola con vigore e arrivando ad un passo dalle scintille raschiando con la forchetta. Per imparare i primi rudimenti della lingua italiana si affidò incautamente a quel burlone di Marco Parolo, che lo portava nei negozi di Cesena e lo faceva impazzire. Se a Nagatomo piaceva una felpa, la indicava e chiedeva a Parolo come si dicesse “felpa” in italiano. Parolo rispondeva “maiala”, quindi Nagatomo chiamava la commessa e il resto ve lo potete immaginare.

Il primo vero segnale che non bisognava fidarsi di Parolo era arrivato alla prima intervista televisiva. Nagatomo voleva presentarsi con una frase in italiano e chiese aiuto per dire un classico “ciao a tutti, sono Yuto Nagatomo” e così via.

“Zao”.

“No, Yuto, ripeti con me: ciao”.

“Tsao”.

“No Yuto, riprova: ciao”.

Qualche ora di allenamento e Yuto era pronto, aveva imparato a memoria la prima frase che gli aveva insegnato Parolo. Sotto con l’intervista. Telecamera accesa: si registra.

“Ciao a tutti, sono Yuto Nagatomo e sono un grosso figlio di cane”.

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