Cesena-Palermo e la fase difensiva di tutto lo stadio

La notizia più bella di Cesena-Palermo? A Cesena c’è una squadra che si vuole bene, il suo stadio se n’è accorto e gioca la partita insieme a lei. Tutti i migliori campionati della storia di questo particolare microcosmo di calcio sono iniziati così.
Se la fase difensiva è il termometro della compattezza di un gruppo, la risposta è arrivata: davanti potrà anche scapparci l’errore del singolo, ma quando dietro c’è da difendere, non c’è un giocatore che non sia pronto a fare una corsa in più per il compagno. I trentenni che sono arrivati non sono qui per raccontare una carriera, ma per vincere la prossima partita e la fame di Berti, Francesconi e compagnia ci dice che l’incastro con i giovani sta riuscendo. Il Palermo non ha un giro dei cambi, ha una intera concessionaria Mercedes e nel secondo tempo Inzaghi ci ha messo vigorosamente le mani: solo una squadra che funziona resiste alla distanza e il Cesena ora funziona, attore protagonista in una partita di alto livello e pure ottimamente arbitrata.
A proposito di arbitri, venerdì scorso ricorreva il 15° anniversario della scomparsa di Edmeo Lugaresi a cui è dedicata questa rubrica. Vista la piega che ha preso il calcio a livello arbitrale, sarebbe stato curioso vederlo alle prese con il Var e i suoi tempi di attesa. Immaginiamoci un coraggioso vicino di posto in tribuna che prova a spiegare a Edmeo che si sta aspettando l’on field review per verificare un dogso, escludendo a priori uno step on foot. Una cascata di inglesismi che avrebbe spiazzato un presidente abituato ad un linguaggio più essenziale.
Negli archivi delle dichiarazioni post-partita, resta mitologico un suo: “Non voglio parlare dell’arbitro, ma a un dato momento questo è un imbecille”, ma è nulla di fronte al dopo-gara di un antico e rovente Cesena-Como 1-1 (gol di Manzo per il Como, pareggio di Scarafoni). Quel giorno Lugaresi rimase affascinato dal fair play di Bruno Bolchi, che a caldo in sala stampa disse: “Io non ho visto degli errori, ho visto un arbitraggio, però non voglio fare polemica, meglio stare zitti”.
Pochi minuti dopo, quando Bolchi smise di parlare, il pres avvicinò un paio di giornalisti per sostenere la linea del profilo basso scelta dal suo allenatore, unendo come spesso faceva lingua italiana e dialetto. Il guaio è che anche quando partiva sereno e costruttivo, spesso crollava alla distanza. Accadde anche quel giorno: “Gli arbitri? Ha ragione Bruno, lasciamo stare. L’è mei c’an dega gnint ad sti luzùs”.
Per i non romagnoli, la traduzione della parte in dialetto sarebbe: “Meglio che non dica niente di questi lozzosi”. In più, c’è un romagnolismo come lozzosi che merita una riflessione a parte. Di per sè, la parola lozzoso è un sinonimo di sporco difficile da pulire, tipo quello dei guanti da officina dopo il cambio olio. Come incastrare lozzoso nel contesto di un dopo-partita? Era uno slancio dialettale che valicava il lombrosiano: al pres non bastava definire gli arbitri modesti e vendicativi, ma andava oltre, accusando tutta una categoria di scarsa igiene. Tutto questo per avvisare i lettori fuori regione che se a un romagnolo scappa la parola luzùs, non si riferisce a un possibile nuovo socio americano del Cesena Fc (non risulta un manager che si chiami Lou Thus). Se poi lozzoso è addirittura riferito a voi, state in guardia perché non è un buon segno, anche se non arbitrate.
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