Bello il Cesena che corre, ma ora deve inventarsi qualcosa

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È noto che in C se non corri non sopravvivi e ora il Cesena corre, con l’Olbia che ogni volta che controlla i risultati benedice il calendario. Olbia-Cesena 2-1 della prima giornata resta l’unico sfregio nella carrozzeria di Toscano, che ha avuto il merito di trovare un modulo e una condizione fisica. Ieri sera in sala stampa l’allenatore della Vis Pesaro Simone Banchieri ha detto che il Cesena è la squadra più forte del girone. La profondità della rosa dice che è vero, il problema è che non è la squadra migliore: quello è un titolo che per ora spetta alla Torres, mentre un anno fa la più forte era l’Entella, ma la migliore è stata la Reggiana. Banchieri ha ribadito i concetti espressi un mese fa da Zdenek Zeman a Pescara («il Cesena è la favorita del campionato e lo sta dimostrando»): dire che quelli ricchi, forti e bravi sono sempre gli altri è uno sport classico degli allenatori di calcio, che in generale rifiutano la pressione di vincere e la scaricano, come l’Iva.

Chiuso in carrozza Cesena-Bis Pesaro (curioso il doppio appuntamento), si entra in un ciclo di partite in cui senza Kargbo, Corazza e Shpendi bisognerà essere creativi e inventarsi qualcosa. Questi dovrebbero essere i momenti più stimolanti per un allenatore ed era quello che voleva fare Daniele Arrigoni con Antonio Candreva, lussuosa mezzala che a Cesena non ingranava. Candreva all’epoca era ingabbiato in una malinconia a metà tra il Giacomo Leopardi della siepe di Recanati e l’Emiliano Salvetti dell’uovo in faccia dopo Ascoli-Cesena. Di fronte a un talento che non si sentiva capito, Arrigoni provò a rimescolare il mazzo e un giorno tra loro andò più o meno così.

«Antonio, vorrei provare a cambiarti di ruolo».

«Cioè?».

«Perché non provi a giocare esterno destro? Hai la tecnica e lo spunto per farlo».

«No mister, non me la sento, io sono una mezzala».

«Per me bisognerebbe provare, può essere una svolta anche per la tua carriera».

«No».

«In Italia ci sono pochi esterni di centrocampo di valore, li cercano tutte le grandi squadre, può essere un’occasione».

«Ho detto di no».

«Sicuro?».

«No. Cioè, sì mister, lasciamo stare».

Si era nel dicembre del 2011: 40 giorni dopo, Candreva andò alla Lazio, continuando a giocare mezzala. Poi però in Nazionale Cesare Prandelli lo provò da esterno destro e Candreva non fece una piega, idea sposata in pieno dal successivo ct Antonio Conte e in quel ruolo Candreva giocò i Mondiali del 2014 e gli Europei del 2016. Nei primi anni anni alla Lazio, Vladimir Petkovic ed Edoardo Reja non raccolsero il segnale, ma quando Lotito in panchina chiamò Stefano Pioli (2014) Candreva giocò solo esterno destro, dando il via ad un decennio ad altissimo livello che non si è ancora esaurito. Arrigoni aveva capito tutto prima: vista a posteriori, forse non doveva chiederglielo, ma doveva obbligarlo.

Immaginiamoci la versione truce di Arrigoni con Candreva: «Senti ciccio, ma tu finora cosa hai mai fatto nel calcio per rispondermi così? Io nel 2004 a Cagliari mi sono inventato Gianfranco Zola falso 9 nel 4-3-3 e parliamo di Zola, hai capito? Lui da punta centrale mi ha fatto 9 gol e 7 assist in 31 partite e ci siamo salvati alla grande in A arrivando decimi. Zola veniva da sette anni al Chelsea, mentre tu finora non hai fatto un tubo».

Arrigoni non disse mai nulla del genere, né tantomeno la pensò. Siamo circondati da intenditori (allenatori, giornalisti, chiunque) che pensano di saperne solo loro di calcio, mentre gli altri sono una massa di caproni. Poi ci sono gli intenditori che mantengono il loro stile e se le cose non funzionano, salutano rinunciando ai soldi. Arrigoni lasciò Cesena con pochi punti ma molto stile: non scaricò la pressione sugli altri, ma la tenne tutta per sé, la caricò sul baule dell’auto a Villa Silvia e se la portò a casa dopo le dimissioni.

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