Spinosi e Costantini per il Pascoli a Santarcangelo

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L’immagine di un Giovanni Pascoli portatore di un canto antico ma ancora intensamente attuale, tolto dalla polvere che si è depositata sulla sua poesia a causa soprattutto di un cattivo insegnamento scolastico. È quella che propone la nuova tappa della kermesse “Tre” all’interno dell’associazione ricreativa culturale ed enogastronomica Santabago (c. dei Fabbri 11/13), a cura della Galleria Zamagni di Rimini e dell’attrice e regista Maria Costantini: un magico trittico, un seducente sodalizio tra arte, cultura e convivialità.

“Zvanì. Una mostra per Pascoli” è il titolo della personale di Graziano Spinosi (fino 9 gennaio), che nella suggestiva cornice di Santabago e delle sue grotte, propone al pubblico venti opere frutto della ricerca dell’artista, docente di Scultura presso l’Accademia di belle arti di Ravenna. Un percorso artistico che si è sempre caratterizzata per l’impiego dei più svariati materiali: resine acriliche, vetroresina, legno, del filo di ferro che diventa nido, bozzolo, crisalide, con mostre tenute in vari musei e gallerie a New York, Berna, Ginevra, Siena, Milano, Roma.

Il 12 dicembre le Grotte monumentali ospiteranno alle 15 il reading poetico “La Musica nascosta. “Parole” di Giovanni Pascoli” di Maria Costantini.

Spinosi, in che maniera sente la sua creatività vicina alla poetica pascoliana?

«Le venti opere in mostra traggono spunti tematici dalla poesia. Vuole essere il mio omaggio a quello che considero l’ultimo dei “poeti maledetti”, alla sua dimensione ontologica, esistenziale, molto dolorosa, e sentita. L’infanzia in Romagna gli consentì di trovare empatia con la cultura contadina, gli animali, gli alberi, le stagioni, il senso del lutto e della festa. Tutto ciò che serviva venica fabbricato con le mani e questo si riallaccia alla mia ricerca sui materiali, di carattere antropologico. Ho imparato questa pazienza antica come s’impara un alfabeto».

Alcuni esempi di come ha scelto di rendere l’anima e il pathos delle rime del Pascoli nella dimensione concreta di materiali scultorei?

«Dieci delle opere esposte hanno la forma di un libro, ciascuna con titolo da una poesia di Pascoli, come scrigni. Gli alberi sono la linfa della memoria, sono libri. Poi ho realizzato un paio di scarpe, quelle di canapa sono le scarpe del “fanciullino” Zvanì, mentre quelle del Pascoli adulto sono in legno di pioppo. Scarpe che poi ho bruciato, perché non si vedesse di loro che un resto carbonizzato, diventato simbolo dello spreco di sé, della consunzione della propria vita, come accadeva ai “poeti maledetti francesi”. Un grande quadro posto all’ingresso raffigura lo scorcio tipicamente pascoliano di un cielo stellato, con la didascalia “non basterebbe per esistere?”, la sua osservazione, la sua compagnia...».

Costantini, cosa significa riproporre “le voci” di un “Pascoli inaspettato”, che definiva propria ragione di vita lo «strappare le cose al grigiore dell’abitudine, recuperare la freschezza e il sapore emotivo originario: vedere e udire, altro non deve il poeta».

«Pascoli ci dice che c’è “una voce” che egli avverte “nel punto che muore”, che vorrebbe dire tante cose, ma ha la bocca piena di terra. Ritorna in diverse poesie la presenza delle voci che sono appartenute alla sfera dei suoi affetti, con le quali lui dialoga, o almeno cerca di farlo mettendosi in ascolto. Ogni sua poesia, credo, è presenza di queste voci che sono apportatrici di un profondo travaglio esistenziale, che il poeta allo stesso tempo tempo vive e percepisce anche come manifestazione degli elementi della natura».

Info per prenotazioni cena e visita mostra: 348 358054

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