Tra Elio e C'Mon Tigre quanto talento in scena al Verucchio festiva

Hanno conquistano e coinvolto tutti in un rito collettivo con la loro caleidoscopica, contaminata pienezza musicale che travalica i confini dei generi. I C’ Mon Tigre hanno chiuso domenica sera il “Verucchio music festival” confermandosi quale riferimento innovativo, originale, sperimentale e cosmopolita nel panorama musicale contemporaneo, portando i presenti nel loro universo parallelo e visionario, senza confini. Il duo bolognese era accompagnato da quattro strumentisti di grande talento impegnati al sax, alla tromba, al bassotuba, ma anche allo xilofono e alla batteria. In apertura sono stati preceduti da Lorenzo Nada, nickname Koralle, musicista, beatmaker bolognese alla consolle per tre quarti d’ora di dj set. Il suo progetto musicale fonde jazz e hip-hop con suoni in presa diretta. Poi, eccoli apparire alla luce di molteplici scenografiche lampadine, acclamati dai fan eterogenei nell’età e nelle provenienze. Niente sedie, tutti in piedi pronti a seguire col corpo quell’intreccio di sonorità che spaziano dal jazz, all’ hip-hop, al funk e dance in un dialogo aperto tra percussioni, fiati, chitarre e sintetizzatori. E con le voci, in primo luogo quella di uno dei fondatori, dalla vocalità straordinaria, profonda, perfettamente modulata sia sui brani più melodici sia su quelli più ritmici, voce che al di là della lingua utilizzata, a volte francese, più spesso inglese, rapisce anche quando gestisce soltanto suoni senza che siano strutturati in parole. Unici nel loro genere, dimostrano anche dal vivo di essere capaci di creare trame profonde che toccano mente, corpo e anima trascinando il pubblico nella loro esplorazione aperta a mondi sonori e immaginifici, dove emerge vivissima tutta la magia dei loro incontri condivisi, sperimentati con artisti differenti a cui di volta in volta si affidano nella pluralità del loro progetto artistico.
Nell’ora e 10 di concerto hanno presentato brani tratti dal nuovo album “Scenario” ma anche dai precedenti, da “Racines”, dominato dalle sonorità del Mediterraneo, e dall’omonimo “C’ Mon Tigre”, donando un lungo bis con ben quattro travolgenti e alchemici pezzi che hanno liberato i corpi nel ballo collettivo.
Il festival aveva proposto sabato Elio (Stefano Belisari all’anagrafe), accompagnato da 5 musicisti, impegnati nel lavoro, dal forte impianto teatrale, firmato Giorgio Gallione, dedicato a Enzo Jannacci, titolo “Ci vuole orecchio”. L’artista ha dimostrato di avere non solo orecchio ma anche il talento e lo spirito giusto per affrontare la dissacrante e bizzarra ironia del medico cantautore milanese, proprio come lui. Un grande attore che ha saputo vestirne i panni senza mai tradirne l’anima e nel contempo mettere in risalto le sue abilità di artista saltimbanco, capace di alternare la recitazione e la musica, in un fluire sciolto, gradevole e soprattutto di straordinario e coinvolgente impatto.
Il pubblico, accorso numeroso – non c’era un posto libero – e di età medio-alta, lo ha chiamato in scena intonando le note di Happy birthday, era il giorno del suo compleanno, e lui da serio professionista non ha detto una parola in merito salutando e attaccando subito come da copione. Col megafono ha chiamato fuori Enzo, e ha iniziato a cantare. Poi un alternarsi di recitato e cantato, presentando i brani più noti di Jannacci, e lo spettacolo, ben costruito sia drammaturgicamente che scenograficamente, curato perfettamente dai costumi all’allestimento, è scivolato via con leggerezza per un’ora e 20 minuti compreso un bis inatteso. Sembrava finito, tra il pubblico si è levata una richiesta di «bis» fortissima. Elio è uscito e a sua volta ha gridato: «L’ha detto e noi facciamo il bis!». E giù applausi scroscianti.