The Tomorrow Man a Ravenna: l’intimità e la forza di Micah P. Hinson al Rasi per Transmissions

Spettacoli

«Le persone in Italia sembrano davvero apprezzare quello che faccio, e lo fanno da molto tempo: è incredibile», dice Micah P. Hinson. Ed è con questo sentimento di legame profondo che il cantautore texano, autore di ballate folk scabre e dense, torna stasera a Ravenna per il Transmissions Festival XVII. La sua musica è fatta di confessione, resistenza romantica e un’umanità ferita ma mai piegata. Salirà stasera, venerdì 21 novembre, sul palco del Teatro Rasi (dalle 21 apriranno la serata i romani Wow e la musicista, filmmaker e scrittrice irlandese Hilary Woods) per un viaggio intenso, fragile e necessario, proprio come le sue canzoni.

Micah, Hai un forte legame con l’Italia, e con Ravenna in particolare. Potresti esprimere i tuoi sentimenti verso il nostro Paese e la nostra città?

«Già, vengo in Italia da molto tempo. I primi Paesi in cui sono andato sono stati Inghilterra e Scozia. Dopo è arrivata la Spagna, e credo che in quello stesso tour spagnolo io sia poi venuto in Italia. È un posto bellissimo. Mi piace suonare qui. Ho incontrato amici davvero splendidi. C’era un uomo, Francesco Cerrone, che ha un locale a Roma chiamato Monk. Lui era il mio tour manager e abbiamo viaggiato insieme in tutta Italia. Sono stato a Ravenna moltissime volte. E ovviamente le cose sono cambiate quando ho firmato con Ponderosa, sia come etichetta sia come agenzia. E poi avete anche Asso Stefana nel nord del vostro Paese. Sì, adoro suonare in Italia. La gente sembra davvero apprezzare quello che faccio, e sembra apprezzarlo da molto tempo. È incredibile.»

Nel tuo nuovo album The Tomorrow Man questo legame si conferma, visto che è prodotto da Asso Stefana e suonato anche dall’Ensemble di Benevento...

«Non è che un giorno mi sia svegliato dicendo: “Voglio registrare un disco in Italia con queste persone”. Ho conosciuto Asso tramite Vinicio Capossela anni fa, e gradualmente abbiamo creato un rapporto di lavoro e abbiamo iniziato a registrare insieme. È iniziato con I Lie to You, poi la canzone di Piero Ciampi, e poi The Tomorrow Man. E abbiamo fatto altro lavoro anche dopo. E sì, sto lavorando con Raffaele e l’orchestra giù a Napoli. Ma come dicevo, non era un piano. È semplicemente successo. Tutto si è incastrato per realizzare questi album»

Chi è “The Tomorrow Man”? Sei tu? E che tipo di essere umano sarà il domani?

«The Tomorrow Man sono io, ma ancora più importante The Tomorrow Man è tutti noi. E ovviamente non è solo un uomo, non è solo una donna: sono tutti gli esseri umani. Credo che l’uomo di domani, la donna di domani, l’essere umano di domani, sia qualcuno che ha a cuore le cose, che desidera un futuro diverso. Un futuro diverso per tutti noi. Viviamo in tempi in cui tutto questo è davvero importante: un modo nuovo, un modo più ragionevole di fare le cose, un modo più gentile. Sembra che il mondo sia travolto dall’avidità, dall’egoismo, dal genocidio, dalla disconnessione, dalla nostra ossessione per i robot, per i social media, per tutte queste cose. Non vedo tutto questo finire bene per noi - e chiaramente non sta andando bene. Non ho scritto il disco con questo intento, ma una volta che il titolo mi è venuto in mente, una volta che ho fatto attenzione alle canzoni e alla mia situazione attuale... queste cose sono diventate molto importanti per me».

Molti hanno paragonato il tuo modo di cantare nel nuovo album al crooning: sei d’accordo?

«Sì, voglio dire, quando stavo facendo questo album ero stanco di essere il ragazzo bianco emo e triste che si lamenta delle relazioni. Non lo volevo più. Credo temessi di essere ricordato solo per quel tipo di cose, quindi avevo bisogno di fare un passo avanti. Avevo bisogno di progredire. Ed è lì che entra in gioco l’orchestra, e una qualità di registrazione più alta. Crooning? Non ho mai pensato: “Devo diventare un crooner”. Non avevo una definizione in mente. Ma sì, mi va bene essere chiamato crooner. Va benissimo. Lo considero un onore, amico, perché in quella linea di crooner ci sono Roy Orbison, Frank Sinatra, Elvis Presley - persone incredibili. Sono sicuro che non sarò mai nella stessa lista di loro, ma sì, mi piace».

Ci sono molte influenze nella tua musica, ma le persone ti amano soprattutto per i tuoi testi. Consideri le tue canzoni come poesie in musica?

«No, non considero i miei testi poesia. Li considero semplicemente testi delle canzoni. Ma immagino che potrebbero esserlo - chi sono io per dirlo? Però no, non credo che vorrei mai stampare i miei testi in un libro o qualcosa del genere. Le cose che scrivo sono fatte per essere ascoltate, cantate, non per essere lette».

Hai avuto una vita molto travagliata: come va la tua vita ora? Come ti definiresti come essere umano in questo momento?

«Sì, ho avuto una vita travagliata, ma dobbiamo ricordare che sono cresciuto in una famiglia della medio-alta borghesia. Mio padre era psicologo, lavorava all’università. Quindi, qualunque problema abbia avuto, non è nulla rispetto a ciò che affronta la maggior parte del mondo. E la maggior parte dei miei problemi me la sono causata da solo - erano basati su decisioni che ho preso, situazioni in cui mi sono messo, desideri che avevo.

Ma non so... la mia vita adesso? Sì, certo, ho ancora cose da imparare, viaggi da fare, ma sento che sto facendo del mio meglio con ciò che ho, e penso che stia andando piuttosto bene. Sono sposato con una donna che si chiama Lina Sanabria, un’artista colombiana brillante. Ho quattro figli bellissimi. Ho amici straordinari. Vivo a Madrid. Ho un posto confortevole dove vivere. È incredibile.

Come mi definirei come essere umano? Mio Dio, non lo so. Non so quale sarebbe la risposta, se non che sono un essere umano, sono Chickasaw, nativo americano. Sono un marito, un padre, un cantautore. E credo che sia tanto semplice quanto complicato».

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