Pupi Avati presenta il suo film sugli Sgarbi

Si può fare un film mettendo in primo piano l’espressione, demodé e superata, “per sempre”? Si può fare un film che parla di immortalità? Pupi Avati ha voluto dimostrare che si può fare, per meglio dire osare. Con Lei mi parla ancora, da lunedì 8 febbraio in prima assoluta su Sky Cinema e in streaming su Now Tv, il regista bolognese, dopo essere tornato a cimentarsi con lo stile gotico nel 2019 con Il signor diavolo, ci porta questa volta nell’intimo di una lunga e grande storia amore. Quella vera vissuta dai coniugi Nino Sgarbi e Caterina Cavallini, padre e madre di Elisabetta e Vittorio Sgarbi, e raccontata nell’omonimo romanzo di Sgarbi senior, riedito in concomitanza con l’uscita del film dalla Nave di Teseo, casa edirice della figlia.
Nel 2014, a 93 anni, Nino Sgarbi – per tutta la vita farmacista nella campagna tra Veneto ed Emilia – esordì nella narrativa, dando alle stampe il suo primo romanzo “Lungo l’argine del tempo. Memorie di un farmacista”. Una carriera di scrittore iniziata dopo la perdita della moglie, con la quale aveva condiviso 65 anni di vita insieme.
Il film, in realtà, «anziché illustrare gli eventi rievocati in quelle pagine, indugia su “come” quel romanzo fu scritto» spiega Pupi Avati. Al centro di Parla con lei – film Sky Original, prodotto da Bartlebyfilm e Vision Distribution in collaborazione con Duea Film – c’è infatti, più che la storia tra Nino e Rina, il racconto di come si arrivò al romanzo, anzi, ai quattro romanzi di Nino Sgarbi.
A dare voce e volto a Nino e Rina due grandi attori, Renato Pozzetto e Stefania Sandrelli. Protagonista in presenza per tutto il film lui, protagonista in assenza lei. Dopo qualche scena iniziale, difatti, muore. E ad entrare in scena, oltre alla figlia e al figlio (che nel film non sono mai indicati con i loro nomi) arriva il personaggio dello scrittore (l’attore Fabrizio Gifuni), un ghostwriter chiamato ad aiutare Nino a trasformare in romanzo i propri ricordi.
Incastonata dentro il film, come perla in un’ostrica, una frase di Cesare Pavese: «L’uomo mortale, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia».
Lei mi parla ancora, oltre a essere un film sul potere salvifico del ricordo, sembra anche un film sul potere della parola, o più in generale della messa in scena.