La recensione: Nicoletta Fabbri in "Donne sull'orlo di un miracolo economico"

Maura, Ottavia, Speranza, Pia, Giustina, Anna Maria sono donne, donne come tante che tanto hanno da raccontare, trasmettere, insegnare. Appartengono alla terra di Romagna, nello specifico sono vissute a Rimini e sulla riviera, figlie, madri, sorelle mogli, nonne, zie, imprenditrici, lavoratrici, pensatrici, che parlano di loro e delle vicende che le hanno viste protagoniste e che hanno contribuito a fare la storia di questo lembo di terra che prende i profumi dell’entroterra e si colora con gli orizzonti marini. Le abbiamo viste interpretate da Nicoletta Fabbri sul palco del Teatro degli Atti, l’8 marzo, grazie al comune di Rimini che ha voluto offrire alla città lo spettacolo, “Donne sull’orlo di un miracolo economico” in prima assoluta, in occasione della Giornata internazionale della donna, e del programma "L'otto sempre. Incontri e riflessioni”, con una risposta di pubblico straordinaria, teatro gremito come raramente accade. Fabbri con delicatezza e sensibilità, qualche accenno ironico e, nonostante la drammaticità di alcuni passaggi mai sbilanciato sulla tragicità o sul pietismo, tutte queste donne le ha rese vive, più che reali nel respiro, nell’anima, le ha restituite con la loro tensione esistenziale e questo anche perché l’attrice riminese è autrice dei testi, della messa in scena, della regia. Con l’eleganza e l’amorevolezza che sono la sua cifra drammaturgica e interpretativa, ha cucito le sei storie nate da una meticolosa ricerca imprimendo all’insieme una saggezza compositiva che ha reso il lavoro compiuto e senza frammentazioni. Ha offerto un unicum di lettura basato su realtà diverse ma unificanti - una sedia e un oggetto per ciascuna ha identificato e caratterizzato le protagoniste - non solo perché sono al femminile ma perché tutte esprimono il senso più alto della determinazione, della resilienza e della tenacia, della forza a superare le difficoltà e a guardare avanti anche quando, sole, si sono trovate di fronte alla incommensurabile devastazione e alla distruzione più totale come quella di Rimini, seconda città d’Italia più distrutta dal passaggio della seconda guerra mondiale. Non si sono arrese e non si sono appoggiate a un uomo o a un marito per tornare alla vita, si sono rimboccate le maniche e sono andate avanti con le proprie forze. Questo ha contribuito a far sì che, con le loro azioni, anche l’economia della famiglia prima e poi quella del loro paese ne abbia tratto giovamento. È anche un pezzo di storia della riviera che emerge dai sei racconti in prima persona e quindi lo spettacolo va ben al di là delle celebrazioni, è uno sguardo sulla società che ha preceduto la nostra e che ne ha posto le basi comprese quelle dell’economia turistica riminese e rivierasca. Fabbri precisa che l’idea e i testi sono emersi dentro di lei ripensando al documentario di Stefano Bisulli e Roberto Naccari “Una storia comune” dedicato a quella generazione di donne ormai scomparse, e ci tiene a sottolineare che il lavoro che ha debuttato a Rimini si è concretizzato con lo sguardo di Elena Bucci, la cura del suono di Franco Naddei, le luci di Loredana Oddone, gli oggetti di scena di Claudio Ballestracci e la produzione di Le belle bandiere. Va detto però che il merito di regalare un’universalità narrativa ed emozioni tanto potenti quanto benefiche, è tutto suo e lei dimostra una maturità autorale e attorale che non lascia indifferenti e che va segnalata.

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