La recensione: i Vespri Siciliani a Bologna

Certo, adattare al palco “piatto” del Comunale Nouveau la scena dei “Vespri Siciliani”, in scena la scorsa settimana a Bologna, non deve esser stato facile, ma il gesto registico di Emma Dante, deciso ed efficace come sempre, ha saputo restituirne appieno tutto il significato e l’emozione, facendo dimenticare i limiti imposti dallo spazio.

Una scalinata monumentale adorna di statue classiche (le scene, lo ricordiamo, sono di Carmine Maringola) domina il palco: come spiega la stessa regista nelle note di sala, è la fontana “delle vergogne”, quella di piazza Pretoria, a Palermo – e l’ambientazione siciliana emerge in ogni dettaglio, dalle teste di moro alle coppole (quelle dai colori “finti” e sfacciati degli invasori e quelle nere, classiche degli isolani), alla santa Patrona portata in processione; eppoi ai pupi che, a sipario chiuso, “presentano” la vicenda. È teatro, sia chiaro, ma di quello che della vita vera si nutre. Allora, ecco un’attualizzazione che da una parte riporta alla cronaca più nera degli ultimi decenni, ma dall’altra sembra parlare la lingua senza tempo del mito. E se i gonfaloni coloratissimi che accompagnano l’esortazione di Elena alla ribellione del proprio popolo ritraggono le vittime della mafia – tra tutti domina il volto di Paolo Borsellino, è lui il fratello della protagonista ucciso dal nemico -, il nucleo della storia è quel filo complesso e ritorto che da sempre contrappone e lega oppressi e oppressori, quell’ombra dell’anima che scompiglia il comodo confine tra buoni e cattivi. Che poi è il senso profondo dell’umanità che pervade la musica di Verdi, drammaturgo inarrivabile. Perché Monforte è l’invasore, ma in lui vibra l’amore frustrato di padre – riassume il suo dramma il nero fantasma della madre che incombe su di lui e sul figlio Arrigo, a sua volta schiacciato tra amore e dovere. Come Elena, incapace di portare fino in fondo la vendetta. E Procida, che lotta per la libertà del suo popolo, ma al prezzo di crudeltà imperdonabili: si fa scempio, come sempre, del corpo degli sconfitti, presi infine nella rete. In un susseguirsi di “quadri” di immediata efficacia: dalla cancellata che delimita l’arena-prigione allo sfolgorante e dorato scenario del ballo…

Ma arriviamo alla musica, alle voci. Che Oksana Lyniv, sul podio dell’Orchestra del Comunale, governa con scattante precisione e nitore cristallino. In un gioco di equilibrio perfetto con il canto in palcoscenico: pienamente nella parte è apparsa Roberta Mantegna, timbro austero e intenso per un’Elena appassionata, così come Stefano Secco, nei panni di Arrigo, che pur senza una particolare profondità timbrica si è mosso sul filo di un’ottima intonazione. Grande scioltezza, senza dubbio, per le voci scure: come sempre inappuntabile Riccardo Zanellato nel ruolo di Procida, e Franco Vassallo, imponente per voce e presenza scenica. Lodevole poi il coro, preparato da Gea Garatti Ansini. Insomma, per un’opera che mancava dal teatro bolognese da quasi quarant’anni, un ritorno di qualità.

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