La recensione: Benjamin Clementine al Verucchio festival

Le luci della sera, i colli romagnoli, un palco e un piccolo pianoforte: l’appuntamento di mercoledì 27 luglio con Benjamin Clementine sul sagrato della chiesa Collegiata di Verucchio colora di intimità un festival che da anni fa dell’autenticità la propria forza.
Illuminato da un bagliore senza tempo che fa brillare il suo completo chiaro, il musicista entra in scena senza fare rumore (è scalzo) e nel silenzio di un pubblico in attesa si sistema sullo sgabello alla ricerca di una posizione che lo faccia sentire comodo. È riservato, quasi in imbarazzo, e i suoi respiri dal microfono riempiono l’aria e tagliano il fiato ai suoi spettatori, una volta che inizia a suonare. Nessuno osa cantare con lui, in platea vige un rispetto religioso per i colori della sua voce, troppo potenti per essere sporcati. È Benjamin stesso che scioglie gradualmente la tensione, prima con una battuta sulle tagliatelle e poi invitando i suoi spettatori a intonare insieme il ritornello di Condolence, un inno al coraggio. «Mando le mie condoglianze alla paura, mando le mie condoglianze alle insicurezze» e a un elenco di situazioni in cui ci si trova pieni di dubbi e si inciampa sugli stessi ostacoli. La sua è un’anima fragile, ma che non ha paura di esprimere il proprio dolore e trasformarlo in arte. Al musicista londinese non manca nemmeno l’ironia: «Conosco una canzone in italiano, ma mi ricordo solo la prima strofa e il ritornello». Ai primi accordi di Caruso il pubblico non si trattiene: «Ah, ora cantate?». Nessuno si rassegna all’idea che si ritiri dal palco e Benjamin coglie il potere unificante della sua musica, così dopo una commossa standing ovation e le urla si concede per altri due bis.
La sua generosità lo porta a ricomparire anche dopo la fine del concerto, per scambiare due parole con chi si è spinto fino a Verucchio per ascoltarlo: «Siete tutti di qui? No? Wow, grazie». Le persone gli si avvicinano con curiosità, come se venisse da un altro pianeta. In effetti è lui stesso che nel suo brano Jupiter scrive di essere un alieno. Eppure è proprio la sua umanità a lasciare tutti senza parole.

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