La danza di Paola Bianchi al Santarcangelo festival

SANTARCANGELO. Paola Bianchi, coreografa e danzatrice torinese ma romagnola di adozione, ritorna al “Santarcangelo festival” dopo una lunga assenza, e lo fa con Energheia, un lavoro site-specific pensato per il luogo in cui il pubblico potrà vederlo stasera e domani (ore 20) al parco Baden Powell (Nellospazio). È un solo di danza di 40 minuti perché il progetto più ampio che avrebbe debuttato al festival, per via della pandemia, non si è potuto fare ed è rinviato al 2021. Così lo spettacolo è il primo tassello del suo progetto Elp che sta per ethos, logos, pathos. Cofondatrice del collettivo Cap, Bianchi si impegna nella divulgazione della cultura della danza contemporanea conducendo laboratori di ricerca coreografica e lezioni incentrate su tematiche riprese nel suo volume “Corpo politico. Distopia del gesto, utopia del movimento”. E non ha rinunciato ai laboratori a distanza neppure durante il lockdown.
Da dove è partita per creare “Enérgheia”?
«Ho contattato 40 persone e ho chiesto quali fossero le immagini pubbliche che si erano fissate nella loro retina; la risposta ha riguardato immagini iconiche e di attualità che hanno segnato la storia del mondo, come l’attacco alle Torri Gemelle di New York o il ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Alla fine ne ho selezionate 88».
Com’è avvenuto il passaggio verso la costruzione coreografica?
«Non ho copiato l’immagine. Ho lavorato sulle tensioni che quelle forme avevano sul corpo. Si è trattato di un lavoro molto più ampio rispetto all’immagine selezionata».
È da sola in scena, seppure accompagnata da Fabrizio Modonese Palumbo che esegue le musiche dal vivo, il tutto su disegno luci di Paolo Pollo Rodighiero.
«Al momento era possibile andare in scena solo in questo modo, estrapolando le posture del mio corpo nei momenti che coincidevano con il punto più vicino all’immagine di partenza».
C’è un richiamo alla pandemia?
«C’è, ma io l’avevo pensato in tempi non sospetti decidendo di riallacciarmi a un tema iconografico diffuso in Europa dalla metà del 1300 in poi e in modo specifico al “Trionfo della morte” di Palermo datato 1441 o 1446, un affresco anonimo dove appare la morte nella sua onnipotenza».
Perché questo titolo?
«La parola enérgheia indica un atto di trasformazione, l’essere in opera, secondo un uso che comincia a imporsi con Aristotele».
Significa che nella danza atto e opera coincidono, sono soggetto e oggetto?
«Certo, il lavoro nasce dal lungo processo d’incarnazione di quelle immagini selezionate, dove s’innesta un’analisi approfondita dello spazio, della tensione, delle forze, del ritmo generato da ogni azione immortalata, di quello che c’è oltre l’immagine».
Ha rivolto il progetto “Elp” anche ai non vedenti e altri gruppi di persone: con quali risultati?
«L’idea nasce dal desiderio di portare la danza là dove per sua natura non può arrivare, come alle persone non vedenti. Uno degli obiettivi è eliminare l’emulazione del corpo del maestro: il tentativo di imitazione crea spesso frustrazione da ambedue le parti, invece ognuno ha la propria fisicità e il proprio modo di usare il corpo. E quindi escludendo il maestro qualunque corpo può incarnare qualsiasi postura e aprire le porte al senso di movimento. Altro importante obiettivo è la mancanza dell’insoddisfazione verso un risultato fissato a priori. Sì, ho incontrato molti gruppi eterogenei di persone non professioniste, ragazzi, adulti, non vedenti e ipovedenti, e ho sperimentato il metodo anche con dieci giovani danzatori durante le residenze realizzate all’Arboreto di Mondaino».

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