O ttant’anni da poco superati e ben portati, Franco Bellomo è rimasto l’ultimo della generazione dei grandi fotografi che hanno raccontato con i loro scatti il periodo d’oro del cinema italiano. Nel suo curriculum di fotografo di scena, composto da oltre un centinaio di titoli, figurano, tra gli altri, film di Mario Monicelli (“La ragazza con la pistola”), Vittorio De Sica (“Il giardino dei Finzi Contini”), Luigi Zampa (“Contestazione generale”), Liliana Cavani (“Il portiere di notte”), Valerio Zurlini (“La prima notte di quiete”), Luigi Comencini (“La storia”, “Buon Natale buon anno”), Marco Ferreri (“La casa del sorriso”), Michelangelo Antonioni (“Identificazione di una donna”). E ancora: molto Dario Argento (da “Profondo rosso” a “La terza madre”) e anche i set felliniani di “Il Casanova di Federico Fellini” e di “E la nave va”. «Sul “Casanova” – ricorda Bellomo – arrivai chiamato da Pierluigi (abituale fotografo di Fellini, ndr), perché aveva preso un altro impegno, e rimasi due mesi, fino alle fine delle riprese, il 25 maggio del 1976. Sul set c’era un bel clima e non ebbi nessuna difficoltà a subentrare a lavorazione iniziata».
Era la sua prima volta con Fellini, come la accolse?
«Mi presentai, gli spiegai come intendevo lavorare e lui mi accolse con simpatia. Cominciò subito a chiamarmi “Baffo”, perché portavo un bel paio di baffi neri. Come ero solito fare, stavo sempre sul set, seguivo la preparazione e al momento del ciak mi posizionavo vicino alla macchina da presa. Fellini non fece mai obiezioni. Era sempre molto curioso di vedere i provini fotografici e poi assieme sceglievamo le foto da stampare. E nella gran parte delle foto c’era lui presente, perché era proprio il signore del set. Amava essere fotografato».
Non si trattava di un set semplice. Ho presente, tra l’altro, una sua bella foto nella scena del teatro di Dresda.
«Si girava tutto a Cinecittà, gli interni allo Studio 5 e gli esterni alla piscina, dove venne ricostruita in parte Venezia, compreso il ponte di Rialto. Quanto alla foto cui fa riferimento, in quella scena vennero impiegate centinaia di candele che dovevano essere cambiate a ogni ripresa. Fellini era tranquillo e non gli piaceva che ci fosse tensione. Si fidava dei collaboratori, a cominciare dal direttore della fotografia Peppino Rotunno, ma amava avere tutto sotto controllo. Verificava tutto, dagli oggetti in tavola ai costumi, in maniera quasi maniacale».
Batteva molti ciak?
«No, non rifaceva molte riprese, al massimo tre o quattro. Questo perché preparava tutto prima e con gli attori faceva diverse prove. Si recitava in inglese e con i figuranti che non riuscivano a dire le battute in modo corretto faceva ripetere dei numeri. Tanto poi interveniva in fase di doppiaggio. Anche nei confronti di Donald Sutherland, protagonista nel ruolo di Casanova, era premuroso, pieno di consigli e suggerimenti, che l’attore seguiva puntualmente».
Ha ritrovato Fellini qualche anno dopo per “E la nave va”.
«Sì, alla fine del 1982. Fui impegnato nelle prime settimane di lavorazione e nei due mesi prima delle riprese. Seguii tutti i provini agli attori e alle comparse. Una bella esperienza».