Francesco Colella e le mafie: " Liberi di scegliere"

Spettacoli

Le mafie si stanno espandendo ovunque e stanno penetrando sempre più nei territori, anche in regioni a maggior coesione e tenuta civica; questa capacità di diffusione sconvolge anche quei territori – come il nostro – considerati “virtuosi”. Mercoledì 15 febbraio dalle 10.30 alle 12.30 in Piazza degli Ambrogi, nella sala Melozzo di Forlì, il professor Domenico Guzzo, con don Giorgio De Cecchi – sacerdote impegnato nel sociale –, incontrerà Francesco Colella, attore di grande intensità interpretativa. Colella avrà modo di dialogare con gli uomini e donne di domani partendo dal film Liberi di scegliere che l’ha visto protagonista nei panni di Antonio, un padre ’ndranghetista contro la cui feroce educazione criminale s’impernia tutta la parabola di svincolo del figlio Domenico.

Con l’organizzazione della Fondazione Roberto Ruffilli e la viva partecipazione di Franco Ronconi, referente del coordinamento di Libera di Forlì-Cesena, gli studenti avranno modo di relazionarsi concretamente con la possibilità di una via d’uscita dalle mafie.

«Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare? Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo» sosteneva Rita Atria, testimone di giustizia, ed è quello che si cercherà di fare mercoledì tutti insieme.

Colella, tutto parte da “Liberi di scegliere”. Cosa l’ha portata a dire sì a questo film?

«La sfida che il ruolo richiedeva. Oltre a essere un attore, sono anche calabrese, e tematiche come questa che andiamo a narrare nel film mi interessano molto. Raccontare un personaggio legato alla criminalità organizzata – la ’ndrangheta in questo caso – spero non possa innescare nel pubblico alcun processo di identificazione, ma piuttosto di repulsione».

Veste i panni di Antonio, un boss latitante che è anche un padre di famiglia. Ma qual è il tipo di educazione che Antonio riserva ai suoi figli?

«I principi su cui si regge la ’ndrangheta sono regole che hanno a che fare con la sopraffazione, la sete di denaro, l’approfittarsi delle persone più fragili e più deboli, seminare morte e fare i propri interessi a qualsiasi costo. Tutta questa miseria è travestita dalla retorica di una ritualizzazione, di alleanze di sangue e di falsi sentimenti».

Rispetto, educazione e onore: sono parole chiave per una famiglia di ’ndrangheta?

«Sono belle parole ma usate in quel contesto mascherano tutt’altro, ovvero il senso di possesso nei confronti di altri esseri umani. Una famiglia di ’ndrangheta ritiene che le persone siano di sua proprietà e che ne possa disporre come vuole. Il rispetto e l’onore di questi criminali creano unicamente legami e catene che tengono prigionieri».

La storia che va a raccontare nel film è ambientata in Calabria, sua terra d’origine, un territorio da cui fuggire o un territorio che può avere un riscatto sociale?

«Non condivido mai la filosofia della fuga. La ’ndrangheta nasce in Calabria ma oramai è estesa ovunque; non dimentichiamoci che purtroppo esiste la collusione e la partecipazione di diversi settori della società, come l’imprenditoria e la politica. La Calabria non è una terra da cui fuggire, il mio paesaggio interiore è legatissimo a lei; quando ci torno respiro l’aria di casa e non così semplice lasciarla perché c’è un senso del tempo totalmente avvolgente».

Ma come si incontra l’arte con la criminalità organizzata?

«Quando mi viene chiesto di partecipare a un film come Liberi di scegliere mi costa molta fatica che di fatto non è fisica: non ho alcuna intenzione di incontrare interiormente il mio personaggio, posso tranquillamente interpretarlo disprezzandolo».

Partendo dal titolo del film, nel 2023 siamo liberi di scegliere?

«Purtroppo no. Si conquista una libertà interiore che è legata alla conoscenza dei sentimenti, dell’essere umano e delle storie altrui. Sono fermamente convinto che la libertà si possa conquistare con l’arte, la poesia, la letteratura e più in generale, la cultura».

Domani mattina incontrerà gli studenti di Forlì, in che modo le nuove generazioni possono porsi nei confronti della criminalità organizzata?

«Noi adulti abbiamo una grandissima responsabilità, oltre che una grandissima colpa. La criminalità organizzata viene troppo poco raccontata; se ne occupano troppo poco i giornalisti e i politici. Ritengo che molti giovani ignorino la portata atroce di queste organizzazioni criminali, nonché la loro invasività nei campi economici, sociali e politici. Finché noi adulti non raccontiamo, cosa possiamo pretendere dai giovani? È compito nostro».

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