Deliri, poesia e attesa nelle "Stanze" del Teatro Sconfinato
CESENA. Teatro che vuole resistere, e trova nuove motivazioni per andare in scena. Quello di “Teatro sconfinato”, progetto che nasce da un’idea della scrittrice cesenate Paola Turroni e di Roberto Ghidini. con la collaborazione di diverse realtà: il gruppo teatrale Il Colpo, il collettivo di artisti Arte Mendicante, la scuola e compagnia Il Teatro del Mare di Mariaelena Leone, la United Societies of Balkans e il Balkans Hotspot.
‹‹Perciò andiamo in scena – annuncia Paola Turroni – il 15 maggio, alle 21, con “Le stanze” tratte da “Le sedie” di Ionesco, con la regia mia e di Ghidini. Una storia di delirio, di reclusione, di solitudine e desiderio. Una storia che parla di attesa. In live streaming sulla pagina Facebook di Arte Mendicante».
Sulla scorta, sottolineano, di una riflessione teorica che ha avuto punti di riferimento Antonin Artaud («Dal punto di vista umano l’azione del teatro come quella della peste è benefica, perché spingendo gli uomini a vedersi quali sono fa cadere la maschera, mette a nudo la menzogna, la rilassatezza, la bassezza e l’ipocrisia») a Eugenio Barba (‹‹sappiamo bene che la vera e unica forza del teatro è la selvaggia necessità di chi lo fa, e la sua ostinazione a non lasciarsi addormentare››).
Il progetto è partito dalla produzione di un video: “Aspettando Godot… a casa”.
«Ho riunito alcune persone che fanno teatro con me – dice la regista cesenate – per realizzare una performance a distanza che parlasse di questo momento di crisi attraverso la metafora di Godot, un misto di poesia e ironia che ci fa resistere e sentire vicini anche da lontano. È stato il nostro primo nostro esperimento di teatro in tempo di quarantena. Il primo risultato di questa necessità e della volontà di resistere alla pandemia con il teatro, ostinati, nonostante fossimo anche lontani, isolati, stanchi. È passato un mese e stiamo ancora aspettando. Siamo ancora lontani, alcuni di noi in Italia, altri in Germania altri in Grecia. La pandemia è ancora in atto. Il cui significato sta proprio nella reazione, a questo sconvolgimento da ognuno ha subito di date, di cancellazioni. Per questo abbiamo voluto costruire e regalare un piccolo frammento di poesia, una sorta di progetto politico e poetico insieme››.
Perché la scelta del teatro dell’assurdo?
‹‹Percorsi legati a Beckett e Ionesco, poi a Pinter, ci sembravano i più logici nel tempo assurdo di questo isolamento. L’attore senza corpo è un attore intristito, e in qualche modo attori diversi, ognuno chiuso nella sua stanza ma “attore” in prima linea, vogliono continuare a dire “ci siamo”. Non è un modo di fare teatro, ma di resistere come teatro in attesa di farlo col corpo. Questa volta abbiamo scelto di rappresentare “Le sedie” di Ionesco. Su un’isola circondata d’acqua si sognano le ombre delle vele sulle onde, la confusione della gente ammassata e il momento in cui tutto sarà spiegato e avrà un senso. In un periodo ancora più incerto del precedente, in cui l’attesa sembra essere quasi finita ma basterebbe poco per dover ricominciare da capo, l’esigenza di resistere col teatro si è fatta più forte. Non smettiamo. Non smetteremo. Non c’è pubblico, non c’è uno spazio fisico dove trovarsi, non ci sono applausi, né calore c’è solo la “rappresentazione teatrale”››.
E la scelta di definirvi “Teatro sconfinato”?
‹‹L’obiettivo del progetto è proprio quello di “resistere alla pandemia del Coronavirus” attraverso il teatro, non inteso meramente come ricreativo e ludico, bensì nella sua accezione più alta: teatro come teatro sociale, che entra in contesti inusuali, di disagio, che offre un respiro di aria nuova a chi vive condizioni difficili, che consente al pensiero e alla riflessione di non esaurirsi mai. Ci siamo sempre posti l’obiettivo di coinvolgere la comunità e raccontare una storia che aiuti ad andare alla ricerca della proprio identità. Questo per noi vuol dire fare teatro sociale: portare i nostri spettacoli nei luoghi dove di solito il teatro non arriva, per adulti e ragazzi in situazioni disagiate. Il teatro sfonda ogni barriera. Non ci si può incontrare per provare, non c’è un pubblico in carne e ossa che applauda, ma quel calore, quella fisicità, quella concretezza di emozioni arrivano sempre, potenti, anche attraverso lo schermo di un computer. Fare teatro è raccontare l’esistenza, assumersene la responsabilità e sostenere la gente al pensiero. In questo sta l’innovazione che ha in seno questa idea››.