"Default", disco d'esordio dei romagnoli Be.holders

RAVENNA. Si intitola “Default” l’album d’esordio dei romagnoli Be.holders, in uscita il 30 aprile, in formato digitale, per Blossom Bisquits. Il disco registrato a Ravenna al Loto Studio 2.0 di Gianluca Lo Presti e anticipato dal video del singolo “Implosion/Explosion” è un viaggio musicale votato al sound strumentale e all’innovazione, intriso di cinismo esitenziale e caduta di ideali. Sulla scia di sonorità che seguono, idealmente, quel tracciato già battuto da Radiohead e Portishead senza disdegnare però le sperimentazioni, tra elettronica, art rock, panorami ambient e post punk.
I brani, tutti in inglese, raccontano del desiderio di evasione da una società sempre più in declino e povera di valori. Abbiamo chiesto ai Be.holders, duo composto da Francesco Rossi e Davide Santandrea di raccontarci qualcosa di più su questo loro esordio.
Come nasce questo vostro primo lavoro?
«Nasce dall’esigenza comune di ricercare e consolidare un nostro “sound” nel campo della musica elettronica – spiega Francesco – Cercavamo un linguaggio che andasse oltre il “pop” e che rispecchiasse i nostri tempi, sia musicalmente che liricamente, con l’obiettivo di collocarlo perfettamente in questi anni 20 appena iniziati.».
Musicalmente c'è un filo conduttore che lega i brani del disco?
Direi di no – prende la parola Davide –. Avevamo tanto materiale in versione demo, ascoltandolo ci suonava bene, ma non eravamo convinti che ci rappresentasse completamente. Per questo motivo abbiamo operato delle scelte e il risultato del lavoro di sintesi è “Default”, un lavoro a metà strada tra come eravamo e come ci piacerebbe essere».
Quanto hanno influito gli anni 80/90 in questo lavoro?
«C’è una buona dose delle decadi menzionate nella nostra musica. Nel mio caso – spiega Francesco – nonostante non abbia vissuto quegli anni essendo del ’94, trovo in quel “sound” e in quel “mood” una genuinità, una sincerità e soprattutto una qualità che fatico a cogliere nella musica di oggi».
Nel disco si respirano tante influenze, ma rivisitate in chiave innovativa: qual è la ricetta per creare qualcosa di inedito attingendo dal proprio bagaglio musicale?
«È una bella domanda ma forse questa è la ricetta miracolosa: fai dei buoni ascolti di qualità e diversificati. È soggettivo, ma scopri se sono davvero buoni quando ti lasciano qualcosa dentro, magari tu non te ne accorgi nemmeno. Improvvisa, ascolta cosa fanno gli altri sulla tua idea e fai maturare il pezzo. Le idee buone funzionano quasi subito, massimo un paio di prove. Se continuano a non convincerti, passa oltre. Registra tutto e portalo su pc, solo lì puoi sistemare i dettagli e arrivare alla forma definitiva».
Cosa volete trasmettere con la vostra musica?
«La nostra voglia di cambiare le cose, il senso di frustrazione dettato da un presente privo di certezze; ma anche la nostra “pazzia”, l’andare oltre gli schemi prefissati e i clichè che limitano la creatività dell’artista».
La scena musicale nostrana è viva secondo voi?
«C’è un grande paradosso. Schematizzando: i musicisti, quelli ce ne sono a bizzeffe ma quasi tutti over 35. Mentre i luoghi in cui suonare stanno scomparendo e sono sempre più difficili da raggiungere. I musicisti vengono pagati sempre meno, d’altra parte c’è sempre più burocrazia. Anche le persone che ascoltano sono sempre meno visto che la media di età è sempre più alta e hanno altro da fare che andare ad un concerto la sera. Le etichette indie? Non pervenute, di solito non investono sulla tua musica ma su di te. Musicalmente però in Italia c’è spazio per tutti quindi risponderemmo di sì; ma “viva”, nel senso di originale, deve essere anche la proposta degli artisti: purtroppo si tende a seguire le logiche di mercato e le mode del momento e questo non fa che fossilizzare la scena attuale, sia a livello musicale che di contenuti».
Quanto vi ha aiutato la musica in questo periodo di quarantena?
«Continuo ad ascoltare musica in ogni momento – spiega Davide –. Alcune uscite sono saltate purtroppo. Però sto dedicando molto tempo alla ricerca di suoni e a costruire un setup pratico da utilizzare live».
«Aiuta molto – aggiunge Francesco – sperimentare nuove sonorità e ascoltare tanta buona musica sono alla base della crescita di un artista, soprattutto ora che abbiamo più tempo per farlo».
Come cambierà il modo di fare musica dopo il coronavirus?
«Non penso che i concerti in streaming (gratis o a pagamento) siano una soluzione, nemmeno i concerti tipo drive in con la gente in macchina, ma staremo a vedere, tutto dipende da quanto durerà se mesi o anni. È una bella incognita, nel frattempo gli artisti si devono adoperare per trovare una formula vincente in ambito “social” e sfruttando le infinite possibilità del web».
Avete in programma appuntamenti online o dal vivo quando non ci saranno più le attuali restrizioni?
«Non abbiamo nulla all’orizzonte in questo momento, se tutto fila liscio prima di ottobre penso non ci saranno possibilità per nessuno, per cui cercheremo di lavorare per la prossima stagione. Mentre online stiamo pensando di organizzare qualcosa, ma va fatto bene e deve essere qualcosa di originale. Nel frattempo gustatevi il nostro album “Default” che trovate online nelle piattaforme digitali».

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