Debora Villa: “Siamo in tilt per lo stress? Ridere aiuta”

Stressati, arrabbiati, preoccupati dalle notizie quotidiane delle cronaca e in fuga da giornali e telegiornali. Ma non tutto è perduto: ci restano la capacità di ridere e sorridere, e il dono dell’empatia. Debora Villa ci racconta così, spaventati ma non vinti, nello spettacolo Tilt - Esaurimento globale, scritto a quattro mani con Carlo Gabardini, in prima nazionale questa sera (ore 21) al teatro Diego Fabbri di Forlì.

«Lo spettacolo è nato circa un anno e mezzo fa – racconta l’attrice lombarda – dopo che eravamo usciti dall’isolamento. Mi sentivo un po’ depressa da quei mesi di paura e incertezza, e vedevo che anche gli altri intorno a me soffrivano le stesse sensazioni. Mi chiesi allora che senso avrebbe avuto tornare su un palco a fare battute davanti a gente che aveva perso tanto, anche persone care. Ma poi iniziai a documentarmi sui riscontri che la risata può avere sulla salute e sui resoconti scientifici che ne mostrano tutti i benefici. E fu così che tornai a rendermi conto del fatto che leggerezza non significa superficialità, e che si possono trattare temi importanti, come poi ho sempre fatto, anche in un modo brillante».

E tradusse questa convinzione in show.

«Realizzai due “spettacoli-laboratorio” in cui coinvolgevo il pubblico, invitando per esempio chi se la sentiva a venire sul palco con me a recitare una poesia o uno sketch. Da questa esperienza e dalla risposta della platea venne allora l’idea di Tilt, che è nato quindi dalla necessità di venire a capo di questo periodo così cupo, in cui sembrava che tutto dovesse andare meglio dopo la fine della pandemia, e invece...».

La sua quindi è una sorta di comicità terapeutica.

«Cerco soprattutto di dipanare la matassa di stress che incombe su di noi visto che potremmo davvero essere un po’ meglio di come siamo».

Se ci riesce, le spetta il Nobel...

«Ma no (si mette a ridere, ndr): davvero è sufficiente lasciar perdere un po’ di più, ed è questa la mia esortazione principale, condita naturalmente di comicità. Poi nei miei spettacoli ho sempre messo in primo piano il senso critico, per esempio parlando delle donne e del loro ruolo. Oggi però questo argomento viene già toccato da tanti, allora abbiamo allargato il campo e con la scrittura a quattro mani di questo spettacolo ci siamo sbizzarriti a entrare metaforicamente nel mio cervello».

E cosa ci avete trovato?

«Tante cose che condividiamo, il pubblico e io, anche il malessere di questi anni, e poi temi che mi sono cari come la ricerca delle felicità, la necessità del rispetto, oppure la caccia al... primo esaurito della storia dell’umanità per trovare la causa dei nostri stress, che forse, si trova proprio nelle origini, e magari una soluzione. Di tutto questo parlo con una risata che fa riflettere, sempre interrogando il pubblico e spingendolo ad ammettere che sappiamo solo quello che vogliamo sapere, non con uno spettacolo catastrofista ma semmai attraverso un viaggio interiore alla ricerca della felicità».

Quale momento dello spettacolo la diverte particolarmente?

«Quando canto il rap, un pezzo freestyle scritto da Shade e musicato da Jaro. È una bella storia l’incontro con loro: li avevo visti su TikTok e contattati. Nel giro di un’ora mi hanno risposto, assicurandomi la loro disponibilità, e il pezzo me lo hanno regalato. Mi dà una grande soddisfazione eseguirlo in scena ed essere molto scialla, molto giovane... Vede? Parlavamo di un mondo che dopo il Covid è peggiorato, e invece succedono anche tanti incontri belli, che danno gioia».

Lo spettacolo a Forlì è in prima nazionale.

«Ma c’è stata un’anteprima a Cernusco sul Naviglio. E nonostante qualche piccolo errore, soprattutto nel monologo iniziale che è un po’ frenetico, quasi... isterico, ci sono stati tante risate, applausi, espressioni di riflessione, ma con il sorriso».

E anche in “Tilt” lei coinvolge il pubblico.

«Certo! Per esempio quando parlo della scuola... li interrogo, ma poi regalo caramelle! Del resto per me la reazione del pubblico è fondamentale, e quando sto sul palco sento che siamo io e loro».

Quindi è il teatro il luogo di elezione di Debora Villa.

«È la mia casa, dove dimentico tutto ascoltando risate e commenti dalla platea. Specialmente in questa epoca di social che sembrano avvicinarci ma in realtà spersonalizzano il contatto, a teatro sento invece di essere vicina alle persone, e con loro posso stabilire quell’empatia che, ne sono profondamente convinta, è l’unica cosa che ci può salvare». Lo spettacolo è tutto esaurito.

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