Claudia Castellucci premiata a Venezia con il Leone d'argento

È un momento importante per Claudia Castellucci . La cofondatrice della Societas Raffaello Sanzio di Cesena riceve oggi alle 12 a Venezia, il Leone d’Argento della Biennale danza; la direttrice e coreografa canadese Marie Chouinard glielo consegna per il lavoro costruito con la sua compagnia Mòra, in particolare per la creazione del ballo “Fisica dell’aspra comunione” ultimo di un percorso trentennale di Castellucci dedicato al movimento ritmico concepito in stretta relazione con la musica. Domani venerdì 16 alle 21, sul palco del Piccolo Arsenale, la compagnia esegue questo ballo nato simbioticamente sulle musiche del compositore, organista, ornitologo francese Olivier Messiaen (1908 – 1992), a Venezia eseguite dal vivo dal pianista ravennate Matteo Ramon Arevalos.

Marie Chouinard ha colto nel lavoro “sobrio ed esigente” di Castellucci le «folgorazioni delicate, pudiche, che riconducono all’origine della creazione, a partire dalle musiche tratte dal “Catalogue des Oiseaux” di Olivier Messiaen».

Questo suo riconoscimento, Claudia, giunge dopo un lungo percorso compiuto nel movimento ritmico già a partire dalla fine degli anni Ottanta con la Scuola teatrica della discesa, proseguito con la Stoa, con Calla, fino alla scuola per danzatori Mòra, ora sfociata in compagnia. Perché allora si dichiara sorpresa di questo Leone d’Argento?

«Perché ho lavorato soprattutto nel nascondimento delle scuole. La mia è stata una ricerca pura, priva di rispondenza rispetto al mercato; ciò è stato possibile per le caratteristiche di noi Societas, dove il lavoro di ognuno permette quello dell’altro. Nel mondo della danza ho fatto solo rare manifestazioni ai margini. Proprio quando ho deciso che sarebbe stato interessante per me andare più a fondo dal punto di vista tecnico, ho terminato l’esperienza scolastica di Mòra trasformandola in compagnia. Abbiamo preso in consegna questo ballo “Fisica dell’aspra comunione”, ultimo della scuola, approfondendolo tecnicamente».

Lo ha fatto crescere con cinque allievi della precedente scuola, non con danzatori di accademie che potevano garantirle una tecnica più accurata.

«Ho provato, per mia curiosità, a insegnare una danza maturata nella scuola a un gruppo di persone provenienti da due accademie; tecnicamente l’hanno eseguita benissimo, ma qualcosa mancava».

Cosa non trovava?

«Mancava l’atteggiamento della scuola, che non è l’“attitude”. Per atteggiamento intendo la capacità di ogni danzatore di caricarsi addosso questo ballo, per orientarlo in una maniera singolare, seppure di insieme. L’orientamento deriva da una coscienza flagrante di quel che sta accadendo, non basta una impeccabile esecuzione. Ogni danzatore di Mòra è portatore di un carattere personale che emerge anche nella coralità del ballo; ognuno crea qualcosa che accade in quel momento, senza protagonismi».

Qual è il suo concetto di scuola?

«La mia è una scuola nel senso più primitivo del termine; è un semplice ritrovo di persone che, da me guidate, studiano insieme qualcosa che ha a che fare con la danza, con il movimento, ma a tutto tondo, con la responsabilità di creare un ballo anche interiore».

Nonostante la primitività, lei guarda al modello tecnico della danza classica.

«L’incontro con la danza classica è per me fondamentale. Non avendo io una formazione classica, mi avvalgo di persone che ne sanno. Dentro Mòra c’è la danzatrice Sissj Bassani che traduce le mie idee intuitive in movimenti precisi da impartire. Non ho riferimenti, ma posso dire che mi hanno molto colpito i balletti russi di repertorio, per il loro rapporto selvaggio e primitivo con musica e ritmo».

Cosa hanno di analogo per lei danza, musica, ritmo?

«La danza mi serve per formare il rapporto con il tempo. Musica e danza hanno una componente libera dal debito originario dell’arte nei confronti della imitazione. La musica ha gesti dell’anima umana liberi perché non rappresenta, commuove ma non racconta una storia precisa. Altrettanto la danza permette una forma di liberazione nei confronti di un tempo condizionato, convenzionale».

È cofondatrice di una compagnia teatrale che ha segnato l’innovazione degli ultimi trent’anni, cosa aggiunge la danza alla sua vocazione?

«Rispetto al teatro che continuo ad alimentare attraverso testi e drammaturgia, nella danza c’è una componente di verità elevatissima. Mentre nel teatro si segue un’arte della mimesi e finzione, per restituire una “tranche de vie” da replicare, nella danza è molto forte la componente della verità fisico corporea del momento, cosa questa che mi ha sempre attirato».

Perché ha voluto le musiche di Olivier Messiaen?

«Già nel mio “Homo turbae”, una decina d’anni fa, scelsi le musiche d’organo di Messiaen. In questo caso ho colto brani del suo “Catalogue d'oiseaux” (Catalogo d'uccelli 1956-58), che ho ripetutamente ascoltato».

Cosa l’ha conquistata?

«Mi piacciono i suoi registri estremi, dalla pace suprema all’ira, a rabbia, follia, armonia. Questi suoi brani consentono veramente un rapporto fisico con il suono e con il silenzio. Messiaen ha rimesso in gioco profondamente la nozione di ritmo».

Come proseguirà dopo questo Leone?

«Ho in programma un approfondimento del canto corale russo antico, mi piacerebbe provare a costruire un ballo su cori tradizionali russi, possibilmente con il coro dal vivo».

Diretta cerimonia in streaming. www.labiennale.org

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