Brignano oggi e domani al Nuovo di San Marino: «Sono un malato di palcoscenico. Comicità sì, superficialità mai!»

Spettacoli

Col suo nuovo spettacolo “Ma... diamoci del tu!” Enrico Brignano approda sul Monte Titano oggi e domani dalle ore 21 al teatro Nuovo di Dogana. L’attore comico romano che è anche autore, regista, scrittore, doppiatore, racconta che non è la prima volta a San Marino e che ci torna molto volentieri, «sperando stavolta di fare anche un bel giro tra i castelli».

Brignano, in considerazione di questo titolo, lei a chi sente l’esigenza di dare del tu? O da chi vorrebbe al contrario sentirsi dare del lei?

«Il tu che intendo io è quello che racchiude in sé la sincerità, un dialogo diretto con le persone, della sana spontaneità, tutte cose che non possono che fare bene a tutti... Quindi sì, ne sento l’esigenza eccome! Il “lei” invece ritengo sia una forma di rispetto dovuta non solo a me ma a tutti, in certe circostanze più formali».

Nello spettacolo, che lei ha scritto con Manuela D’Angelo e la collaborazione di Alessio Parenti, musiche originali di Andrea Perrozzi, affronta l’ampia questione del mondo che è cambiato totalmente, e così la società e i rapporti interpersonali. Come giudica questo e con la sua chiave ironico-sarcastica come lo racconta in scena? Si parla di più ma non si va nel profondo a volte neppure tra amici, anche per lei è così?

«I cambiamenti vanno sempre accettati, anche perché non si può far molto per evitare che si realizzino, bisogna stare al passo coi tempi, cercando di coglierne la comicità insita. Ed è quello che cerco di fare in scena. È vero, si chatta, si telefona, ormai le tariffe permettono telefonate chilometriche senza doversi preoccupare del costo, quindi sembrerebbe il nostro, il mondo della comunicazione. Non lo è, nel senso che magari si chiacchiera su Facebook con gente che, quando si incontra nella realtà, neanche si saluta. Sul fatto di non andare in profondità negli argomenti ritengo che non sia una problematica dei tempi, ma che dipenda dal carattere di ciascuno: io, per esempio, sono estremamente chiuso. Le mie confidenze le faccio a 3-4 amici più stretti e basta».

C’è tanto di autobiografico in questo lavoro, perché? Perché sta arrivando la maturità che le ha fatto perdere l’aggettivo giovane comico? O perché sull’età che avanza è meglio scherzarci su? E ancora perché il successo ha raggiunto un tale livello che si può guardare indietro serenamente, anche agli esordi carichi di problematicità e di momenti grigi?

«Quasi tutti i miei lavori teatrali sono partiti da riflessioni autobiografiche e questo non fa eccezione. Però non l’ho caricato di troppi significati: volevo semplicemente raccontare ciò che vedo e che vivo. Siamo in un mondo molto diverso da quello di quando ho cominciato io. Oggi, si richiede l’eccellenza, si pretende molto da se stessi e dagli altri perché Instagram e i social ci danno una percezione della vita altrui falsata. Si ostenta una perfezione che non esiste e la maggior parte della gente cerca di rincorrerla. Ho voluto raccontare le mie sconfitte, i miei no, proprio per dire che tutto è importante nella vita, anche un no può essere formativo e non arrendersi è la lezione che si apprende dal rifiuto. La perfezione – se mai esistesse – si può raggiungere anche imparando dai propri errori».

Lei da sempre ha usato l’arma del sorriso nel suo essere artista, la usa anche quotidianamente per affrontare la vita? Quella famigliare ma anche quella pubblica?

«Nella vita di tutti i giorni sono un uomo molto serio, con momenti di riflessione e di solitudine che mi sono necessari. Per questo mia moglie ogni tanto dice che “faccio l’orso”. A volte, nella vita pubblica, la serietà è anche necessaria! A parte queste parentesi silenziose, sono il pagliaccio che racconta storie per i miei bambini e un compagnone che cena volentieri con gli amici, ridendo e facendo ridere. Più o meno come tanti, direi!».

Di fronte alla situazione internazionale e ai terribili conflitti che ci fanno sentire sull’orlo di un baratro, lei come si pone come artista, come autore e attore. Riesce a restare distaccato? A scindere i livelli di lettura e di ascolto?

«Restare distaccato rispetto alle notizie che arrivano dal mondo ritengo sia non solo impossibile, ma anche da insensibili. Ho le mie idee, ovviamente, che tuttavia evito di diffondere sul palco perché non è quello il mio ruolo. La mia funzione è anzi di regalare un po’ di spensieratezza in un momento così difficile ma attenzione: leggerezza non significa superficialità. Mai».

Sul palco avrà accanto il maestro Perrozzi, Pasquale Bertucci e Michele Marra. Quali sono i ruoli che affida loro?

«Il maestro Perrozzi ha composto le musiche e canta una canzone, accompagnandosi col pianoforte, oltre a suonare per far cantare anche me, Marra e Bertucci sono due folletti che mi strapazzano e che a mia volta strapazzo, strappando qualche risata al pubblico».

Infine una ultima doppia domanda che immagino le faranno tutti: teatro, televisione, cinema, libri, ha fatto tanto, cosa preferisce in cuor suo? Attore, regista, autore, doppiatore, showman, scrittore quale di questi abiti indossa con più disinvoltura e passione?

«In effetti, è una domanda molto frequente e la mia risposta è sempre la stessa: il teatro è la mia vita. Potrei ridurre tutti gli altri impegni, forse anche rinunciarci, ma salire sul palcoscenico è una specie di malattia da cui non si guarisce mai».

Info: 085.9047726

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