Antidoti / I sogni di Federico, la realtà di Rimini

RIMINI. Siamo nel settembre 1983. Fellini è al massimo della sua potenza creativa dopo aver girato “Roma” e “Amarcord”. Nel corso del suo trionfale ritorno a Rimini, con Sergio Zavoli e tutta la troupe di “Domenica in” per il lancio di “E la nave va” prima della Mostra del Cinema di Venezia, Federico sussurra: «Valeva proprio la pena nascere in una città che ti regala una casina sul porto…».
È quello che passerà alla storia come il giorno della grande riconciliazione di Federico con la sua Rimini. Il giorno in cui un potentissimo raggio laser, dal tetto del Grand Hotel magicamente trasformato nel mitico “Rex”, scrive a caratteri cubitali sulla fiancata del grattacielo: «Grazie Federico».
È lo stesso grattacielo dove oggi vivono il sindaco Andrea Gnassi e Marco Bertozzi, il curatore della mostra dedicata al maestro a cui il sindaco affida il compito di messaggera di Rimini nel mondo, mentre fervono i lavori per il grande Museo Fellini, che traboccherà dal non felice luogo deputato di Castel Sismondo per investire l’intero centro storico.
Il 20 agosto 1984, a poco meno di un anno dal “Fellini’s day”, mentre ancora infuria la bufera del “bidone della casina”, Fellini disegna uno dei suoi sogni più belli: «… Siamo misteri fra i misteri», che sembra rappresentare la “Speranza” intravista da lontano, come in tanti suoi film (e già questo basterebbe a redimere Fellini da tutti le sue torbide frequentazioni di maghi, maghetti , streghe e veggenti che hanno caratterizzato la sua vita e gli hanno impedito di “immaginare” il sommo mistero del dopo col suo “Mastorna”, il film che non poté mai realizzare…).
Ma proprio dopo questo sogno inizia la fase calante della creatività felliniana, il suo dibattersi contro i presagi di morte che lo attanagliano: l’intermezzo antitelevisivo di “Ginger e Fred” (1985), l’autoflagellante, disperata lucidissima “Intervista” (1987), l’orrenda “Voce della luna” (1990) in cui Federico fa il verso a Federico, diventa davvero un tragico aggettivo, “felliniano”, straziando e divorando il bellissimo testo di Ermanno Cavazzoni.
Sembra digrignare i denti, Federico, anche quando gli attribuiscono nel 1993 l’Oscar alla carriera, solo pochi mesi prima di morire: di fronte a una Giulietta che singhiozza dal palco, in mondovisione, ringhia: «Giulietta stop crying, stop crying». E rivolto al pubblico: «L’Oscar non appartiene a me ma a Giulietta. È lei che devo ringraziare». Una confessione? Una chiave di lettura? Di certo quel ringhio fa giustizia di tutte le sciocchezze e di tutti gli pseudo romanzi scritti dopo la morte di questo genio, nostro conterraneo, che qualcuno offendendolo ha osato chiamare «Mago Merlino».
Il “Librone”, come Federico chiamava la raccolta dei suoi scarabocchi onirici, quello scrigno di sogni così colpevolmente mal sfruttato fino a oggi, quasi fosse nient’altro che un fumettaccio porno o un buco della serratura sui vizi segreti del più grande regista del secolo, si chiude con due sogni terribili e premonitori, quelli del luglio e dell’agosto 1990. Nel primo, Federico deve recapitare un messaggio a se stesso, è davanti al suo studio, ma al posto del campanello c’è una lapide di marmo (mortuaria?) con una fessura per le lettere su cui è scritto «Disperso dei dispersi»; ma il foglio che deve urgentemente imbucare, è bianco, non c’è nessun messaggio! Dello stesso tenore il sogno dell’agosto ’90. Una voce sgarbata lo sveglia per due volte consecutive, come si fa con un ragazzo, anzi con un servo: «Hei! sveglia!!!…» e «…debbo svegliarmi, sto dormendo da troppo tempo».
Forse non abbiamo ragionato abbastanza sulla “identità felliniana” di Rimini, che a molti appare non realmente e sinceramente radicata, ma che a ben guardare è soprattutto pericolosamente ambivalente. Tutti sono in trepidante attesa di vedere come riuscirà a prender vita l’immaginario felliniano senza diventare “luogo comune”, ossessioni perpetuate come in un girone dantesco, sogni e segni da interpretare! Se Fellini è Rimini, se i suoi sogni sono destinati a diventare nostri “messaggeri” nel mondo, quale fra quelli raccontati potrà considerarsi rappresentativo della identità riminese?

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