Alessandro Leo e il suo primo corto tra Bologna e Marina Romea

BOLOGNA. Quante volte ci capita di notare per strada o su un mezzo pubblico persone sconosciute che ci suscitano curiosità ma puntualmente proseguiamo per la nostra strada senza curarci di loro? Molto più di quanto pensiamo. Eppure in una mattinata come molto altre, il protagonista di “Indescrivibile” – il corto diretto e interpretato da Alessandro Leo, studente bolognese di Giurisprudenza con una passione “sfrenata” per la macchina da presa e il palcoscenico – ha deciso infrangere questa “regola”. Ne abbiamo parlato proprio con l’autore.
Leo, com’è nata l’idea di “Indescrivibile”?
«Tutto è cominciato quando frequentavo la Scuola di teatro Colli di Bologna; il direttore della scuola e professore di recitazione aveva assegnato alla classe un esercizio, al termine del quale bisognava consegnare una storia scritta da noi. La storia che scrissi fu proprio “Indescrivibile”; qualche giorno dopo la lessi ad alcuni membri della mia famiglia e mio nonno materno disse: “Devi farci un film”. Non lo presi troppo seriamente. Qualche tempo dopo ritrovai la storia e, rileggendola, mi emozionai molto di più di quando l’avevo scritta e pensai che se aveva emozionato me, mio nonno e gli altri miei famigliari, avrebbe potuto emozionare anche altre persone».
Il giovane protagonista della storia in questo cortometraggio fa un incontro del tutto inaspettato, ci racconta meglio cosa accade?
«È una mattina di primavera, il protagonista esce per andare all’università ma, mentre cammina per Bologna, vede questa ragazza sconosciuta e ne rimane colpito. Capita spesso di notare per strada alcune persone sconosciute che ci incuriosiscono ma noi puntualmente proseguiamo per la nostra strada; a me è capitato tante volte e mi sono sempre chiesto: “Cosa succederebbe se volessi provare a conoscere questa persona?”. Quella ragazza non è un semplice volto che suscita curiosità; sente di volerla davvero conoscere. Si vergogna però di andare a presentarsi un po’ per paura di essere fuori luogo, un po’ perché nota in lei uno sguardo spento e triste; decide semplicemente di seguirla sia nella speranza di trovare il coraggio di parlarle sia perché gli si innesca un meccanismo protettivo nei confronti di lei».
Perché questo incontro segnerà gran parte della sua vita?
«Tutti noi nascondiamo dei segreti e la sua decisione di voler conoscere la ragazza, senza chiederle il permesso, lo porterà alla scoperta di un grande segreto che lei nasconde; questo segreto cambierà la vita del nostro protagonista, ma anche quella della ragazza».
La voce narrante è quella di Riccardo Rovatti, perché proprio lui?
«La collaborazione con Riccardo è nata grazie al Floriàn Cinetivù, lo studio audio che ha lavorato al suono di “Indescrivibile”. Inizialmente la figura del protagonista da anziano non c’era. Un giorno, però, parlando con Alessandro Zucchelli – il titolare dello studio audio – è emerso il nome di Riccardo, mi si illuminarono gli occhi perché io sono un suo grande fan, sono cresciuto con la sua voce. Chiesi ad Alessandro di poter far vedere il cortometraggio a Riccardo, al quale piacque molto. Gli chiesi di collaborare. Lui accettò».
«Solo se hai il coraggio di guardare la luce puoi fare della tua vita qualcosa di indescrivibile»: questa è la frase con cui si chiude il suo corto. Cosa significa per lei guardare la luce?
«Apprezzare il dono della vita perché quotidianamente perdiamo tempo facendoci paranoie su cose che, in realtà, sono prive di senso, dimenticandoci totalmente delle cose davvero importanti, come noi stessi, la famiglia, gli amici, le passioni e il lavoro. Questo vale anche per le scelte che prendiamo; spesso agiamo non pensando alle conseguenze che una nostra scelta può portare. La vita, per quanto ne sappiamo, è una sola e va vissuta ed apprezzata tutti i giorni».
Con questo corto firma la sua prima regia, ma cosa vuol dire stare per la prima volta dietro la macchina da presa?
«Il primo giorno di set mi sembrava di stare in un sogno; mi guardavo attorno e vedevo la troupe che lo popolava, ero incantato. Dall’oggi al domani mi sono ritrovato dall’essere unicamente davanti alla macchina da presa, a tenere le redini di un set e di un’intera squadra. Comporta tanta responsabilità, tanta attenzione, tanta determinazione e tanto self-control. L’attore è il numero 10 della squadra, il regista è l’allenatore».
Ha girato il video tra Bologna e Marina Romea, per quali motivi ha deciso di scegliere proprio l'Emilia-Romagna come scenario?
«Come set del film ho scelto Bologna perché è la città in cui sono nato e in cui vivo, che amo e che ha accompagnato la mia crescita sia a livello umano sia a livello artistico e poi è una città con un’estetica molto cinematografica, i portici come sfondo sono qualcosa di straordinario. Ho scelto la Romagna per la scena ambientata al mare perché quando si parla di località marittime il primo luogo che mi viene in mente è la Riviera. Almeno un mese di ogni mia estate lo passo in Romagna, tra Riccione, Milano Marittima e Rimini. Sono innamorato di questi luoghi».
Cosa l’ha spinta a intraprendere il percorso artistico?
«Tante cose ma quella più rilevante è l’emozione che provo ogni volta che svolgo il mio lavoro e ogni volta che ne parlo. Tralasciando gli affetti verso famiglia e amici, il cinema è la cosa che più mi fa stare bene ed è per questo che è e sarà la mia vita. Inoltre, amo il fatto che nel cinema posso scegliere io come vanno a finire le storie, cosa che, purtroppo o per fortuna, non è possibile nel quotidiano».
Tra le sue esperienze, la più importante è stata un ruolo nel film di Pupi Avati “Il fulgore di Dony”, dove ha interpretato Cesare Gullo. Com’è stata la sua esperienza sul set diretto da un mostro sacro del cinema come Pupi Avati?
«La più bella esperienza della mia vita. Al primo ciak ricordo che pensai: “Ma sta succedendo davvero?”. Non mi risposi perché nel frattempo Avati aveva chiamato l’azione e poi non ci ripensai più perché capii che era tutto vero. Dopo la prima scena mi disse: “Sei bravo”. Quelle due parole non me le scorderò mai e neanche il suo viso mentre le diceva perché capii che era sincero. Mi ha insegnato tantissimo sia dal punto di vista professionale sia dal punto di vista umano, è una persona straordinaria».
In questo periodo di lockdown, il mondo dello spettacolo è stato tra i settori più colpiti: quali insegnamenti se ne possono trarre?
«Il problema di fondo è che la maggior parte delle persone ha una concezione distorta dell’arte in generale, la vedono più come un hobby che come un lavoro vero e proprio; queste persone dovrebbero ricordarsi che dietro alla serie tv, al film, al programma televisivo che guardano alla sera sul divano ci sono persone che lavorano, tanto quanto loro. E questa cosa vale per tutti gli ambiti artistici».
I suoi prossimi progetti?
«Ho cominciato la lavorazione di un lungometraggio in collaborazione con un noto scrittore italiano, il progetto è di fare la trasposizione cinematografica di un suo libro. Inoltre, sto scrivendo il mio secondo cortometraggio, lo girerò in autunno e tratterà un delicato tema di attualità».

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