Space economy, le eccellenze romagnole nei programmi della Regione

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L’Emilia-Romagna guarda al cielo e punta a ricavarsi uno spazio nella filiera della space economy a partire dalla ricerca, grazie al lavoro delle università che, ora, avranno la possibilità di eseguire sperimentazioni a bordo della Stazione spaziale internazionale. Fino a vent’anni fa, la conquista dell’universo da parte delle persone comuni sembrava fantascienza e i pianeti all’infuori della Terra dei puntini lontani, alla portata dei soli astronauti. All’inizio del 2000, quasi sottotraccia, tre società avevano invece iniziato a sviluppare l’idea dei viaggi commerciali nello spazio, intenzionate a dare un colpo di spugna all’alone di inaccessibilità che, fino a quel momento, ricopriva anche solo l’idea di poter andare lassù. Blue Origin, SpaceX e Virgin Galactic sono i loro nomi. La prima è stata fondata dall’imprenditore statunitense creatore di Amazon Jeff Bezos, la seconda è nata dalla mente del visionario sudafricano Elon Musk (numero uno di Tesla), mentre la terza è di proprietà del magnate britannico Richard Branson. Nel luglio dell’anno scorso, dopo vent’anni di studi e sperimentazioni, Bezos e Branson ce l’hanno fatta, compiendo con successo il primo volo di turisti spaziali. Musk, dal canto suo, punta invece alla colonizzazione di Marte e la sua SpaceX, nel 2020, è stata la prima compagnia privata della storia a mandare degli astronauti sulla Stazione spaziale internazionale.

Un preambolo necessario, questo, per capire perché una regione come l’Emilia-Romagna abbia iniziato a muovere dei passi concreti verso un’economia che, nei prossimi anni, diventerà sempre più centrale. I primi viaggi commerciali nello spazio hanno infatti aperto le porte alla creazione di una “filiera del cielo” che vede impegnate imprese private, università e anche amministrazioni pubbliche; con la Romagna in posizione d’eccellenza grazie a realtà come la ravennate “Curti aerospace”, specializzata nella fabbricazione di componenti meccanici per l’industria della difesa, e della facoltà di Ingegneria aerospaziale a Forlì. Che nelle stanze dei bottoni di via Aldo Moro facciano sul serio lo testimonia anche il fatto che la Regione – grazie all’impegno dell’assessorato allo sviluppo economico guidato da Vincenzo Colla – ha stretto un accordo per creare un presidio emiliano-romagnolo niente meno che a Houston, nello Stato del Texas, «per la gestione delle attività spaziali – spiegano – che funzioni da liaison tra le aziende italiane e quelle americane».

Regione protagonista

Tornando all’inizio, un tassello importante del mosaico che l’Emilia-Romagna sta costruendo attorno alla space economy riguarda la ricerca, dove si candida a giocare un ruolo da protagonista. È notizia dei giorni scorsi che degli otto progetti finanziati dal bando dell’Agenzia spaziale italiana, ben cinque sono stati vinti da atenei ed enti di ricerca della regione, che ora si spartiranno una fetta dei 3,2 milioni di euro messi a disposizione.

Due di questi sono stati presentati dall’Università di Bologna. Si tratta del progetto “Aphrodite”, che punta ad analizzare i fluidi biologici dell’equipaggio e verificare eventuali alterazioni del sistema immunitario in assenza di gravità, e del progetto “Spacespinning”, ideato in collaborazione con l’azienda torinese Argotec per portare per la prima volta nello spazio una macchina da elettrofilatura che permetterà di fabbricare direttamente sulla Stazione spaziale nanomateriali per applicazioni avanzate, in particolare per la rigenerazione dei tessuti biologici danneggiati e la cura delle ferite.

A questi si affiancano: “Iris”, che prevede la realizzazione a terra e l’utilizzo in orbita di innovativi rivelatori di radiazione ionizzante, indossabili, ultraleggeri e in grado di trasmettere in tempo reale la dose di radiazione ricevuta personalmente da ogni membro dell’equipaggio impegnato in missioni spaziali; e “Hype”, con l’obiettivo di ridurre la pericolosità delle radiazioni cosmiche, aumentando la resistenza dei tessuti biologici in uno stato di ibernazione. In particolare, sarà studiata la reazione di cellule della retina all’interno di un bioreattore progettato appositamente per la sperimentazione. Entrambi sono stati partoriti dentro l’Istituto nazionale di fisica nucleare di Bologna.

Il sogno ferrarese

Ultimo ma non ultimo, perché a dire il vero si è classificato primo, il progetto dell’Università di Ferrara “Drain Brain 2.0”, successore dell’esperimento sviluppato dal professor Paolo Zamboni del Centro malattie vascolari di UniFe, ed eseguito nel 2015 da Samantha Cristoforetti, sulla diagnosi gravitazionale del ritorno venoso cerebrale in telemedicina. Questa volta, l’obiettivo è sviluppare un collarino dotato di sensori in grado di rilevare i segnali circolatori del cosiddetto “asse cuore-cervello” degli astronauti a bordo. Ciò dovrebbe consentire di aumentare il periodo di permanenza nello spazio oltre i 6 mesi attuali, aprendo la strada a viaggi più impegnativi come quelli su Marte.

L’ecosistema di ricerca e innovazione, dunque, si dimostra ancora una volta come il punto di forza su cui cresce l’imprenditoria emiliano-romagnola che, secondo le stime di Confindustria, oggi vede all’attivo circa una settantina di attività manifatturiere specializzate tra aeronautica e aerospazio. Basti pensare a nomi come la Curti di Castel Bolognese e la Dallara di Parma, attorno a cui gravitano tutta una serie di piccole e medie imprese dell’automotive per le quali, essendo molto affini come business, ora si aprono anni con prospettive di diversificazione.

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