Smog a Ravenna: le pm10 non crollano nonostante il lockdown

La qualità dell’aria quanto è stata migliorata dal lockdown? I dati delle due centraline urbane di Ravenna sembrano dimostrare che, nella prima fase il calo del traffico ha portato una flessione del livello di polveri sottili. Dalla fine di febbraio, quando molte auto erano rimaste in garage a causa della chiusura delle scuole e dei primi provvedimenti a seguito dello scoppio dell’epidemia, le Pm10 sono calate in modo evidente. I dati sono rimasti bassi fino alla seconda metà di marzo. A fine marzo la sabbia arrivata dal deserto in Turkmenistan a causa del vento, con un fenomeno che solitamente si verifica in piena estate e con la sabbia del Sahara, ha portato i valori di pm10 a numeri a tre cifre: il 28 e il 29 marzo le principali centraline Arpae ravennati hanno superato quota 100. Il doppio del livello raccomandato

L'andamento delle polveri sottili (Pm10) a Ravenna

Il grafico in basso riporta la media delle due stazioni di rilevamento urbane (Rocca Brancaleone e Zalamella) spalmata sui sette giorni. Nell’ultimo scorcio di marzo la media settimanale delle centraline registra il consistente dato di 45,3 microgrammi su metro cubo. Quasi il doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Poi i valori tornano ad essere allineati a quelli del 2019 e i dati ad aprile sono migliori. Non tanto, però, quanto ci si aspetterebbe in un periodo in cui gli spostamenti sono calati fino all’80%.

La spiegazione di Arpae

Come si spiega il fatto che pur a fronte di un traffico urbano scarso le polveri sottili siano mediamente in linea con quelle dello scorso anno? Al di là dei due giorni anomali di fine marzo, infatti, si contano al momento 31 sforamenti alla centralina Zalamella contro i 32 dello scorso anno. Al porto le cose vanno meglio: 37 sforamenti nel 2020, dodici in meno del 2019.
Secondo quanto spiegato a Bologna dall’Arpae è determinante in questo caso il ruolo dei riscaldamenti. Le persone insomma, stando più tempo in casa, tengono il riscaldamento acceso. Servirà uno studio sull’andamento storico del biossido d’azoto, che è più direttamente legato al traffico, per capire l’impatto del lockdown sull’inquindamento da auto. Presto, in altre parole, per tirare delle conclusioni e soprattutto di sostenere che le auto non inquinano.

Lo studio in arrivo

Di certo al momento il bacino padano che funziona con il freno a mano offre condizioni irripetibili di studio per capire l’effetto delle misure di contenimento e – per confronto – l’impatto delle auto e dell’industria sull’atmosfera. Per questo è stato avviato un ampio progetto di ricerca chiamato “Pulvirus” a cui collabora l’Istituto superiore della Sanità ed Enea.
«Lo studio – ha spiegato l’assessora regionale all’Ambiente rene Priolo – servirà anche a mettere a punto, nella fase 3 (post Covid-19), una strategia condivisa per i nuovi piani e programmi per il miglioramento della qualità dell’aria e il contrasto ai cambiamenti climatici, che dovranno tenere conto di un contesto socioeconomico completamente mutato»Verranno incrociati i dati epidemiologici con quelli ambientali relativi alla concentrazione di inquinanti e alle variazioni delle emissioni in relazione ai consumi energetici, al traffico locale e autostradale e alle condizioni meteorologiche. I risultati saranno utilizzati per valutare l’esposizione della popolazione agli inquinanti atmosferici nelle condizioni precedenti e durante il lockdow

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