Simula pestaggio e in caserma dai carabinieri chiama la polizia

Faenza

Invitato a spegnere il cellulare per non compromettere le attività di indagine, avrebbe invece effettuato registrazioni all’interno degli ambienti militari. E quando ha capito che i telefoni che aveva gli sarebbero stati sequestrati, avrebbe inscenato un’aggressione in caserma, dando una testata contro il muro per rendere più credibile la sua versione e intimando alla moglie che si trovava con lui di chiamare la polizia chiedendo l’intervento degli agenti e di un’ambulanza.

Prima udienza

Gli unici a riportare lesioni erano invece stati i carabinieri di Casola Valsenio tanto che per la vicenda sono finiti a giudizio marito e moglie (due rumeni di 43 e 45 anni, assistiti dall’avvocato Nicola Laghi), chiamati a rispondere anche di resistenza, calunnia e procurato allarme, con il comandante della stazione dell’Arma costituitosi parte civile tramite l’avvocato Giorgio Vantaggiato. Per i fatti avvenuti nel 2013 ieri si è aperto il processo davanti al giudice Federica Lipovscek e vice procuratore onorario Simona Bandini, processo poi rinviato per questioni tecniche.

Stando alle contestazioni, mentre si trovava all’interno della caserma il 43enne avrebbe messo in atto la sceneggiata con la complicità della moglie, facendola chiamare la polizia urlando e facendo intendere di essere stato picchiato.

Un’accusa pesantissima nei confronti dei militari in servizio, con i quali aveva già avuto guai in passato; alcuni anni prima infatti uno dei carabinieri lo aveva identificato mentre era libero dal servizio in quanto il rumeno era ricercato con altri complici per aver installato degli skimmer (strumento utilizzato per carpire i codici delle carte di credito da clonare) nei bancomat del paese.

I fatti contestati

Attriti e frizioni che potrebbero aver innescato la reazione avvenuta alla fine di gennaio del 2013. Quel giorno di sei anni fa marito e moglie erano stati sorpresi in giro su un ciclomotore, ma invitati a fermarsi avevano proseguito la marcia. Ne era nato un inseguimento durante il quale la coppia aveva commesso più di una violazione al codice della strada tra velocità e manovre azzardate, finendo anche per danneggiare l’auto di servizio dei carabinieri. Ma lo show, secondo le accuse, doveva ancora andare in scena. Una volta in caserma all’improvviso l’uomo avrebbe perso il controllo quando gli era stato chiesto di consegnare i telefoni. A nulla erano serviti gli inviti alla calma; all’opposto il 43enne aveva chiesto alla moglie di telefonare alla polizia, cosa che lei ha fatto. E mentre la donna era in contatto con la questura, il marito avrebbe gridato “mi stanno picchiando, mi vogliono prendere il cellulare, non potete farmi questo, voglio il mio avvocato”, dando poi la testata sul muro procurandosi un taglio giudicato guaribile con due giorni di prognosi. Era invece andata peggio ai militari, che avevano riportato ferite e lesioni guaribili in sette giorni. Durante il parapiglia è stato poi accertato che l’uomo era riuscito a liberarsi di uno dei telefoni che aveva con sé, ritrovato occultato negli indumenti intimi della donna. Cellulare con cui, ipotizzano gli inquirenti, avrebbe ripreso le comunicazioni intercorse in caserma forse allo scopo di informare i complici in un secondo tempo come si evince dalla telefonata che gli fu concessa di fare al suo legale dell’epoca, a cui aveva riferito di essere stato picchiato e che i carabinieri volevano “cancellare la registrazione”.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui