Si parla di “giustizia proletaria” e anche di autonomia comunale

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Usciti dagli orrori della guerra e lasciati alle spalle i “bisticci” (si veda la precedente “Pagina” di questa settimanale rubrica), i socialisti riccionesi tornano alla politica. Quella tosta, naturalmente, «che mira alla giustizia proletaria». Il momento è particolarmente propizio all’azione propagandistica e questa tende a riallacciare i rapporti con la Società di mutuo soccorso e con i marinai della “Pietro Sghedoni” – due associazioni da sempre vicine al “Sol dell’avvenire” – e a consolidare le intese con la Cooperativa barrocciai, la Lega dei falegnami e la Lega dei muratori, manuali ed affini (cfr. Germinal, 1 e 17 maggio 1919). Quest’ultima aggregazione, molto affiatata e intraprendente, con una operazione promossa e coordinata dal Partito riesce da una parte «a fare aumentare i salari degli operai» e dall’altra ad ottenere «formali promesse» per l’avvio dei lavori stradali «lasciati in sospeso avanti la guerra» e per la realizzazione «di alcune opere pubbliche di grande interesse per lo sviluppo dell’industria balnearia, che la cittadinanza riccionese reclamava da gran tempo» (Germinal, 13 marzo 1919).

Sul versante “culturale” la Sezione del partito predispone «una sistematica propaganda orale e scritta»; la prima attraverso una serie di conferenze del compagno-relatore Francesco Ciccotti (1880-1937); la seconda mediante la diffusione capillare di giornali e riviste di partito: Avanti!, Romagna Socialista, Compagni, Il Contadino e, naturalmente, Germinal, settimanale dei socialisti del comprensorio riminese.

Per sostenere la stampa, volta a diffondere le istanze del Partito, si aprono pubbliche sottoscrizioni e tanti riccionesi, «di pura fede socialista», si mobilitano per la riuscita di questa campagna (cfr. Germinal, 1 e 17 maggio e 21 giugno 1919).

La politica in questo particolare momento ha un’incredibile fioritura e il “profumo” delle sue argomentazioni aiuta parecchio a sopportare il tedio della giornata. Mai si erano visti tanti giovani bussare alla porta della Sezione, chiedere la tessera del Partito e diventare attivisti del «bene sociale». In primavera un gruppo di habitué del Caffè Aurora dà vita a un Circolo giovanile socialista intervallando le tradizionali partite a carte con pause di riflessione e di confronto sui temi caldi della quotidianità. Il fervore del militante è frenetico e comporta una sequela di impegni: l’incontro istruttivo in Sezione, la lettura del giornale, la discussione al bar con gli amici e la partecipazione ai comizi. Quest’ultimo onere è fondamentale. E quando l’incontro politico non si svolge in paese si va anche in trasferta. Il primo maggio, per esempio, una squadra di centocinquanta socialisti riccionesi, con tanto di bandiera, raggiunge in bicicletta San Giovanni in Marignano per assistere al comizio del «compagno avvocato» Giuseppe Filippini (1879-1972) (cfr. Germinal, 1 e 17 maggio 1919). La stessa cortesia politica, naturalmente, è ricambiata dai centri urbani del circondario. Per l’inaugurazione della bandiera dei giovani socialisti riccionesi, nella seconda domenica di giugno, ad ascoltare Giuseppe Filippini e Letterio Lizzini, collaboratore dell’Avanti!, la piazza del paese si riempie di socialisti di Misano, Cattolica, San Giovanni, Coriano e della Vallata del Conca (cfr. Germinal, 14 giugno 1919). Insomma, la presenza ai convegni è un atto doveroso per il militante, testimonia la sua totale adesione agli ideali.

A contrastare l’irruenza dialettica dei “rossi” si attiva una piccola frangia di “bianchi”, vale a dire di quei cattolici che aderiscono al Partito popolare, la nuova formazione politica fondata da don Luigi Sturzo (1871-1959). Questi hanno il loro quartiere generale a San Lorenzino e il loro leader è don Giovanni Montali (1881-1959), parroco dell’«antica chiesa» distrutta dal terremoto del 1916.

I popolari, alle prime armi in fatto di propaganda, non hanno dimestichezza con la piazza e fanno del loro meglio per divulgare le proprie opinioni. La loro Sezione è la canonica, ma le fragili milizie di cui dispongono sono per lo più formate da donne agguerrite di giaculatorie e pater noster, ma prive dell’arma del voto. Il voto, invece, lo dispongono i contadini e il proselitismo verso di loro non avviene dai «sacri pulpiti» – come brontolano i «sinistri» –, ma dalle Casse rurali (una faccenda che affronteremo nella prossima “Pagina”).

In questo clima di forte partecipazione alla vita politica e sociale torna alla ribalta la tanto agognata aspirazione del distacco di Riccione da Rimini. Nel mese di agosto, sollecitata dal Comitato pro autonomia comunale – che ha in Felice Pullè il suo autorevole e carismatico leader –, si costituisce una commissione «al di sopra delle parti» con l’obiettivo di raggiungere l’indipendenza e il 2 ottobre 1919 è inoltrata al ministero degli Interni la domanda per ottenere, in unione con la «popolosa borgata» di S. Lorenzo in Strada, l’autogestione del territorio. Di questo collettivo fanno parte in qualità di membri effettivi Lucio Amati, Ferdinando Conti, Antonio Leardini, Silvio Lombardini, Roberto Mancini (cassiere), Giovanni Papini e Felice Pullè; come membri aggregati troviamo anche Domenico Galavotti e Ferdinando Rigobelli per la Società dei marinai, Giovanni Angelini per la Cooperativa dei carrettieri ed Eugenio Reale per la Pro Riccione.

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