Sfrattata a Cesena famiglia con tre bambine, il vicinato reagisce: protesta e aiuti

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Sopra i tetti del centro storico c’è un bel sole che scalda un po’ l’aria. Ma al numero civico 97 di via Uberti, all’angolo con via Sacchi, si sente un gran freddo. È quello che entra nell’anima vedendo un padre e una madre, Mohammed e Saida, che aspettano di essere cacciate dalla casa dove vivevano da 12 anni. È l’angosciante capolinea di una procedura di sfratto diventata esecutiva. E così da ieri pomeriggio una famiglia di cinque persone, con bambine di 6, 8 e 12 anni, si è dovuta accomodare sotto un altro tetto d’emergenza.

Rimedio temporaneo

I Servizi sociali del Comune hanno individuato la soluzione a Sorrivoli, all’interno di quello spazio d’accoglienza unico nel suo genere creato da don Pasquale. È però una sistemazione temporanea e presenta un problema: il trasporto a scuola delle figlie, visto che non esistono mezzi pubblici sulla tratta Sorrivoli-Cesena. Per diventare più autonomi negli spostamenti, anche mamma Saida si è appena patentata. Ma la famiglia ha un’unica vettura, quasi sempre usata dal marito per il lavoro. Quindi i vicini stanno provando a organizzare turni quotidiani, coinvolgendo possibilmente con una dozzina di volontari, per fare la spola con le loro auto. Ma al di là di questa esigenza, la speranza di tutti resta quella di trovare una nuova abitazione in affitto, che sia in città. Meglio ancora se in centro, visto che nel luogo dove hanno abitato finora hanno allacciato legami molto forti con la comunità. A partire dalle figlie, che - raccontano Paolo Ugolini ed Ester Zappata, due dei vicini - «hanno portato una ventata di vitalità in tutta la zona, che è tornata ad avere bambini che stanno insieme all’aperto, come una volta». Mohammed e Saida si dicono in grado di pagare un canone mensile di 500-600 euro. Lui ha infatti un buon lavoro da operaio, in un’azienda che in questa fase è particolarmente impegnata nella realizzazione di impianti fotovoltaici. Un’attività che lo porta anche fuori città per vari giorni. I residenti di via Sacchi e dintorni si stanno dando da fare già da qualche tempo per cercare un alloggio che risponda alle esigenze della famiglia, ma al momento sembra una chimera.

La mobilitazione del vicinato

Ma vale la pena di riavvolgere il nastro indietro per riguardare cosa è successo ieri mattina. Le figlie sono già a scuola, le due più piccole al “Carducci”, l’altra alla media numero 2, quando in un attimo va in scena un momento straziante ma anche carico di solidarietà umana. L’ufficiale giudiziario incaricato arriva alle 9.39. Il padre le consegna le chiavi senza fare storie. A circondarlo di affetto e solidarietà concreta, tutto attorno, ci sono una ventina di abitanti della zona che chiamano “contrada Sacchi”. Da dieci anni hanno costruito in quel pezzetto del centro storico uno spirito di comunità che in momenti come quelli si capisce quanto sia prezioso. Mostrano cartelli che denunciano uno scandalo che va ben oltre il singolo caso dei questa famiglia: quello dell’emergenza casa, con cui deve fare i conti un numero crescente di cesenati. Uno dei messaggi che mostrano è molto eloquente: «Troppe case senza gente. Troppa gente senza casa». Un altro, riecheggiando l’articolo 3 della Costituzione, meraviglioso e incompiuto, fa capire che quando si è stranieri ed economicamente fragili un problema che è trasversale diventa ancor più complicato: «Tutti i cittadini sono uguali davanti all’affitto senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali». Abbracci, occhi lucidi e un contegno sdegnato ma composto danno vita a una scena toccante.

L’arrivo del padrone di casa

Dopo un po’ arriva anche il proprietario dell’abitazione, che vive a pochi passi. Scende di nuovo il gelo, che quel calore umano aveva attenuato per un attimo. Finché una delle donne scese in strada per stringersi attorno agli sfrattati gli chiede: «Ma non ti vergogni di mandarli via e di averli fatti vivere in una topaia del genere?». In effetti, la casa ha un aspetto molto fatiscente. Il padrone di casa replica che sono stati gli inquilini a rovinarla. Parole che per qualche istante fanno salire la tensione. Mohammed e i presenti non restano zitti, pur restando sempre pacifici. Presto gli animi si calmano, ma restano le ferite. Il proprietario completa assieme all’ufficiale giudiziario le ultime pratiche burocratiche di rilascio dell’alloggio, già preventivamente sgomberato dagli inquilini, e se ne va via freddamente dopo essersi avvicinato ai manifestanti per osservare le scritte sui cartelli di protesta, senza dire nulla. Per una famiglia inizia una nuova vita più in salita, ma con una commovente rete spontanea di supporto, in aggiunta alle azioni del Comune. E non è poco. Lo sfratto avvenuto in via Uberti è solo una goccia in un Oceano sempre più in tempesta. E il Comune, in stretto rapporto con la Prefettura, sta provando e mettere un argine. Non sembrano esserci margini di manovra per potere arrivare a una moratoria o un blocco generale, come auspicano alcuni, tra i quali il responsabile del Sunia-Cgil di Forlì-Cesena. Però non sembra impossibile arrivare in tempi non troppo lunghi a un protocollo d’intesa tra istituzioni e associazioni di inquilini e proprietari che preveda - spiega l’assessora Carmelina Labruzzo - «meccanismi di conciliazione e mediazione per evitare che certe situazioni precipitino e per provare a gestire in un modo il più indolore possibile la problematica degli sfratti. Sicuramente, quando ci sono disponibilità al dialogo e una rete di sostegno dei cittadini, come è avvenuto nel caso di via Uberti-via Sacchi, tutto diventa meno complicato». Il ragionamento su un possibile protocollo è aperto già da qualche tempo e ieri l’assessora ha continuato a parlarne in un incontro che si è tenuto in Prefettura, durante cui cui si sono toccati anche di altri argomenti, come la gestione dei profughi. Labruzzo ha trovato nella Prefettura «consapevolezza della situazione, ascolto e grande competenza» ed è fondamentale davanti a un’emergenza ormai travolgente. Intanto, la pressione sugli uffici di Palazzo Albornoz è talmente forte sul versante abitativo che si è deciso di «distaccare un assistente sociale per dedicarlo specificamente alla ricerca di alloggi per le persone sfrattate o comunque in condizioni d’emergenza e per accompagnarle nelle soluzioni via via individuate». gpc

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