Non ci sarà uno “Zorro” alla Banderas sul palco del teatro Masini di Faenza, e neppure il personaggio fascinoso della serie televisiva approdata in Italia negli anni Sessanta, e interpretato da Guy Williams.
Da domani a venerdì 17 febbraio (ore 21) Sergio Castellitto è, sì, interprete e regista di “Zorro” di Margaret Mazzantini, ma «il nostro Zorro non ha niente a che vedere con le icone – commenta il popolare attore –. Margaret Mazzantini scrisse questo lavoro circa vent’anni fa e all’epoca lo misi in scena per due stagioni. Poi, nella solitudine del Covid, ripresi in mano quel testo e rimasi colpito dalla sua attualità, dal tema della solitudine e dell’abbandono così affine a quello che stavamo vivendo. Così abbiamo riportato in scena il “nostro” Zorro: un vagabondo, un ultimo, attraverso il cui nome però fa capolino il profilo di un eroe».
Ed è un eroe quindi anche il personaggio del monologo?
«Lo spirito del testo non è sociologico nel senso banale della parola. Zorro è un uomo solo, che racconta la parabola della sua vita. Prima è un cittadino “normale”, poi per motivi psichici, caratteriali, per una serie di circostanze che si sommano, finisce ai margini e perde tutto. In maniera anche ironica, a tratti addirittura clownesca, ripercorre allora la storia della sua vita e delle scelte che lo hanno portato a vivere sulla strada dove acquista però una posizione privilegiata per valutare la complessità e l’imprevedibilità dell’esistenza».
Parliamo di un privilegio molto scomodo…
«È vero per molti aspetti, ma il racconto della sua caduta fa leva anche sulla nostra paura di perdere le certezze relative alla normalità e alla protezione da parte di un sistema che ci tiene lontani dallo stigma dell’esclusione. Poi, chiunque almeno una volta nella vita ha sentito la spinta a disancorarsi da tutto, ed è lo stesso Zorro che a un certo momento dice “pensa che bello sarebbe spingersi nuotando in alto mare e non dover tornare indietro”».
Il suo Zorro in effetti ha un osservatorio privilegiato da cui valutare normalità e anormalità.
«In realtà io ancora devo capire cosa significhi essere nella norma, Zorro dal canto suo afferma che pure da ultimo non ha perso il sentimento individuale della propria dignità, e che le sofferenze attraversate gli hanno fatto capire il senso della vita».
Come reagisce il pubblico a questo messaggio?
«Ogni sera la risposta meravigliosa dalla platea mi regala una gioia immensa. Il pubblico del teatro, del resto, che è molto competente dal punto di vista culturale ma anche emotivo, mi regala a ogni recita la voglia di tornare a raccontare di quel pozzo in cui ognuno può affondare la mano e tirarne fuori qualcosa per sé».
Una sensazione che condivide?
«Certo, del resto è Mazzantini stessa che scrive: “Gli artisti, spesso e volentieri, sono barboni fortunati. Ce l’hanno fatta a non finire all’addiaccio, ma conservano i tratti disturbati e l’inquietudine dell’erranza”. Forse proprio in questo errare che non comporta necessariamente l’idea di uno sbaglio sta il fascino di questo spettacolo. Anzi, specialmente nelle ultime repliche tanti giovani stanno affollando i teatri, ed è di pochi giorni fa la la riflessione di una ragazza che mi ha detto: “Quante cose mi ha raccontato, che riguardano anche me benché non stia sulla strada…”».
È impegnativo per l’interprete vestire questi panni?
«In realtà no: sono convinto infatti che l’attore debba fornire al pubblico un… servizio emotivo, e che ci siano molti più contenuti sociali e politici nella psiche di un personaggio che in un discorso esplicito. Il teatro del resto rispetto alla televisione e al cinema ha a disposizione la possibilità di raccontare la vita e persino la politica attraverso la metafora: un linguaggio, una modalità che mi regalano sempre una grande gioia, e che costituisce uno stimolo e un piacere anche per gli spettatori».
Sergio Castellitto incontra il pubblico al ridotto del teatro Masini venerdì 17 febbraio (ore 18) con ingresso libero.
Biglietti: 29-16 euro.
Info: 0546 21306